Una donna col nijab mentre sostiene tra le sue braccia un uomo ferito durante le proteste yemenite dello scorso ottobre. Questa l’immagine incoronata quest’anno come miglior lavoro dal World Press Photo: un disegno che riconduce innegabilmente a una novella pietà michelangiolesca che qui assume un nuovo volto di universalità. Una visione che colpisce profondamente e che sta lì a rappresentare come le emozioni non abbiano appartenenza religiosa e la compassione umana travalichi qualsiasi diversità culturale, religiosa e sociale.
Ma è anche un’immagine che parla delle donne: della nostra forza, del nostro coraggio, della nostra presenza nel mondo. La foto è stata scattata in una moschea riadattata a rifugio per i feriti dopo gli scontri scoppiati il 15 ottobre scorso a Sanaa per le proteste contro il presidente Saleh nello Yemen, ed è opera del fotoreporter catalano di 33 anni Samuel Aranda, del New York Times.
La fondazione olandese World Press Photo ha annunciato i vincitori del suo premio e sul sito sono visibili gli scatti premiati, tra cui 7 fotografi italiani.
Degna di nota la bellissima foto di Stephanie Sinclair che per il National Geographic è andata a indagare il mondo delle spose bambine, e che nella foto premiata ritrae due giovanissime spose con i loro mariti: Tahani (in rosa), che ha sposato suo marito Majed quando lei aveva 6 anni e lui ne aveva 25, e Ghada (in verde), ex compagna di classe di Tahani, riprese fuori dalla loro casa di montagna a Hajjah, nello Yemen. L’anno scorso aveva vinto la fotografa sudafricana, Jodie Bieber, che aveva ritratto la ragazza afghana con il naso amputato dal marito per punizione.
L’universo è una donna che lotta per la libertà.