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Donne e giovani, questa Italia non fa per loro

'Un Paese più povero, con salari fermi e meno risparmi mentre la parità esiste solo in una coppia su 20. Lo dice l''Istat nel Rapporto annuale 2012 '

Donne e giovani, questa Italia non fa per loro
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22 Maggio 2012 - 15.00


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‘Roma, 22 mag – Un Paese più povero, con salari fermi e meno risparmi. Con forti disuguaglianze fra nord e sud e tra uomini e donne. Infatti, solo in una coppia su venti, sia il lavoro familiare sia il contributo ai redditi, sono equamente distribuiti fra partner. In una coppia su tre, inoltre, la donna non lavora e si occupa da sola della famiglia, spesso senza avere accesso al conto corrente e senza condividere le decisioni importanti con il partner. In una coppia su quattro, infine, la donna guadagna meno del partner, ma lavora molto di più per la famiglia. Questo il quadro tracciato dall”Istat nel Rapporto annuale 2012 sulla situazione del Paese che rileva una situazione ancora di forte discriminazione per le donne.

L”Italia è in fondo alla classifica europea – si legge nel Rapporto – per il contributo della donna ai redditi della coppia: il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce redditi (il 19,8% nella media Ue27). Nei paesi scandinavi le coppie in cui la donna non guadagna sono meno del quattro per cento, in Francia il 10,9 per cento e in Spagna il 22,8 per cento. Dall”indagine dell”Istat emerge inoltre che in una coppia ogni cinque, anche guadagnando come il partner, la donna svolge la maggior parte del lavoro domestico e di cura. Solo in una coppia su venti, sia il lavoro familiare sia il contributo ai redditi sono equamente distribuiti fra partner. Nelle coppie in cui la donna non lavora (30% del totale), è più alta la frequenza dei casi in cui lei non ha accesso al conto corrente (47,1% contro il 28,6% degli uomini); non è libera di spendere per sé stessa (28,3%), non condivide le decisioni importanti con il partner (circa il 20%); non è titolare dell”abitazione di proprietà (più del 50%). Secondo il rapporto Istat, tuttavia, le coppie con una divisione equa del lavoro retribuito e quello familiare presentano il minor rischio di disagio economico: soltanto il 2% di queste coppie è a rischio di povertà contro il 40% di quelle in cui la donna non guadagna. I separati e i divorziati sono più esposti al rischio di povertà (20,1%) rispetto ai coniugati (15,6%). Le ex-mogli sono più esposte al rischio di povertà (24% in media) rispetto agli ex-mariti (15,3% in media). Solo se la donna ha un”occupazione a tempo pieno, la rottura dell”unione ha gli stessi effetti economici per i due ex-coniugi (13% il rischio di povertà per entrambi).

Figli e figlie sempre piu” a lungo in casa, sempre piu” istruiti ma ancora fortemente influenzati dalla classe sociale di provenienza dalla quale, nonostante l”elevata mobilita” sociale assoluta, e” ancora difficile uscire per fare il proprio ingresso in una piu” alta. Faticano a uscire di casa, dunque, le ragazze e i ragazzi italiani che in quattro casi su dieci, nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni, vivono ancora con i genitori. Di questi, il 45% dichiara di restare in famiglia perche” non ha un lavoro e/o non puo” mantenersi autonomamente. Dal 1992 al 2012, si e” dimezzata, inoltre, la quota di giovani che escono dalla famiglia per sposarsi. I matrimoni sono infatti in continua diminuzione, poco piu” di 217mila nel 2010, nel 1992 erano circa 100mila in piu”. Chi si sposa sceglie sempre piu” spesso il rito civile, soprattutto al Nord (48% dei matrimoni) e al Centro (43%). Nel 37,9% dei casi i matrimoni celebrati nel 2005-2009 sono stati preceduti da una convivenza. Ogni 10 matrimoni quasi tre finiscono in separazione, una proporzione raddoppiata in 15 anni; le unioni interrotte da una separazione entro 10 anni di matrimonio sono piu” che triplicate, passando dal 36,2 per mille matrimoni celebrati nel 1972 al 122,5 per mille nel 2000.

Positivi sono invece i dati relativi alla scolarita” che, per la fascia d”eta” 14-18 anni, e” cresciuto del 24%: nell”anno scolastico 2010/11 poco piu” di 92 ragazzi su 100 risultano iscritti alla scuola secondaria di II grado. Sono 74 su 100 i giovani di 19 anni che ottengono un diploma, contro i 50 su 100 degli inizi degli anni Novanta, grazie soprattutto alla componente femminile. La partecipazione scolastica delle donne, infatti, e” ora superiore a quella degli uomini (rispettivamente 93 e 91,5%) e le prime concludono piu” frequentemente dei secondi il percorso formativo (il 78% delle ragazze ottiene il diploma, contro soltanto il 69% dei ragazzi). Sebbene la mobilita” sociale assoluta delle figlie e dei figli rispetto ai genitori sia alta, in seguito ai cambiamenti strutturali dell”economia degli ultimi decenni, la fluidita” sociale e” bassa e la classe sociale dei genitori continua a condizionare fortemente il destino dei figli. Confrontando i giovani delle generazioni entrati nel mondo del lavoro entro i 25 anni, le opportunita” di miglioramento della propria condizione sociale rispetto ai padri e alle madri sono cresciute fino alle generazioni degli anni ”50, per interrompersi per le generazioni successive e rischiare di peggiorare ulteriormente in questi ultimi anni. Cosi”, la probabilita” dei figli della borghesia di permanere nella loro classe di origine e” maggiore della probabilita” di accesso da parte dei figli provenienti dalle altre classi. Sono inoltre molto rari gli spostamenti tra classi sociali distanti: solo l”8,5% di chi ha un padre operaio riesce ad accedere a professioni apicali, quali dirigente, imprenditore o libero professionista. La classe sociale dei genitori continua a influenzare anche i percorsi formativi delle figlie e dei figli.

MADRI 10 VOLTE PIU” PENALIZZATE DEI PADRI NELL”ACCESSO AL LAVORO

Le mamme sono molto piu” penalizzate dei papa” nell”accesso al mondo del lavoro: la probabilita” di trovare lavoro per le madri rispetto ai padri e” infatti 9 volte inferiore nel Nord, 10 nel Centro e ben 14 nel Mezzogiorno. Il rapporto Istat evidenzia come ””le minori opportunita” di occupazione e i guadagni piu” bassi delle donne, insieme alla instabilita” del lavoro, sono fra le principali cause di disuguaglianza in Italia””. E soprattutto tra i giovani che rischiano di essere ””a lungo”” atipici.’

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