‘Roma, 23 mag – La nostra è una lingua ancora un po” troppo declinata al maschile che ancora usa il termine uomo anche per indicare la donna. Un vero peccato perché l”italiano, invece, prevede esattamente il contrario: e cioè la declinazione anche al femminile di tutte – o quasi – le parole al maschile. Come mai allora, ancora e ostinatamente, si persevera in questo errore grammaticale da matita blu e, per esempio, non si dice e non si scrive la ministra Fornero, la segretaria della Cgil, Camusso e la guardasigilli Severino? Nonostante dalla Francia alla Spagna passando per l”Italia le donne – ma anche qualche collega illuminato – stiano provando da tempo a diffondere un uso della lingua meno maschilista, questi propositi di cambiamento in realtà incontrano ancora molte resitenze. Resistenze di ogni ordine e tipo: linguistico, culturale, sociale, psicologico, politico, storico.
Un gran dilemma. Che ha trovato, finalmente, qualche risposta nel bel convegno dedicato ad Alma Sabatini, l”autrice dell”avveniristico volume Il sessismo nella lingua italiana scritto nel 1987 su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissione Nazionale per la Realizzazione della Parità fra Uomo e Donna. Il convegno La lingua dell”Alma – ovvero quello che la lingua dice, non dice, nasconde e cancella delle donne e del loro essere nel mondo, organizzato dal Centro di Documentazione Internazionale Alma Sabatini e da Archivia, alla Casa Internazionale delle Donne di Roma, ha fatto il punto a distanza di 25 anni da quel lavoro da autentica pioniera dell”ex radicale e parlamentare nonché prima presidente del Movimento di liberazione della donna.
Che cosa è cambiato da allora nel nostro linguaggio, sui media, nella pubblicità? Poco o nulla, verrebbe naturale rispondere. E invece diciamo che, mentre ancora in molti continuano a scirvere e a parlare come se le donne non esistessero, sulla questione è in ballo un utile movimento di idee e proposte come non se ne erano viste prima d”ora. “Il cambiamento di una lingua non può essere individuale” suggeriva già Alma Sabatini. E al convegno Giuliana Giusti, docente a Venezia all”Università Ca” Foscari, lo ha ricordato aggiungendo che: “L”Italia è ancora al 74° posto nella classifica mondiale del gender gap e sono ancora molte le donne di potere che ancora rifiutano, forse inconsapevolmente, il ruolo declinato al femminile. L”appello alle istituzioni e alla politica è quello di promuovere, con regole e norme certe per tutte, l”uso di termini come ministra, direttrice, sindaca, assessora, consigliera, magistrata, affinché entrino nell”uso comune, e non appaiano come deformazioni caricaturali”. Insomma, secondo Giusti, “non dobbiamo incolpare la singola persona incapace di usare una lingua femminilizzata, il problema è più vasto e va affrontato collegialmente. Ci vogliono delle linee guida e la politica potrebbe fare molto. Accanto alla coscienza di come la declinazione femminile nella lingua interagisca con il riferimento alle persone di genere femminile e, di conseguenza, alla costruzione di una identità di genere”. Le ricercatrici del convegno – tra cui ricordiamo Cecilia Robustelli, docente di linguistica all”Università di Modena, e ancora Paola Mastrangeli e Saveria Rito del Centro di Documentazione Alma Sabatini – hanno raccontato di come l”universo linguistico sia ancora organizzato attorno all’uomo mentre la donna continua ad essere presentata con immagini stereotipate e riduttive, che non corrispondono più alla realtà di una società in movimento. Insomma, di come gli enormi cambiamenti di questi ultimi anni non siano rispecchiati, quasi per niente, nella nostra lingua. Nonostante le ormai famose Raccomandazioni di Sabatini. Eppure, eppure pianissimo e senza disturbare troppo, qualche cosa si sta muovendo.
A Firenze, per esempio, dove ad avviare una campagna contro questa autentica discriminazione linguistica, e non solo, arriva un progetto del Comune che propone per domani, 24 maggio, nel Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio, il convegno Genere e linguaggio. Parole e immagini della comunicazione. Sul banco delle relatrici e dei relatori si alterneranno politiche, come l”assessora alle Pari Opportunità, Cristina Giachi e l”assessora provinciale all”omonima carica, Sonia Spacchini, ma anche studiose e studiosi del calibro di Nicoletta Maraschio, presidente dell”Accademia della Crusca, Cecilia Robustelli, docente dell”Università di Modena, Elisabetta Benelli, vicepresidente del corso di laurea in Cultura e progettazione della moda, Peppino Ortoleva, ordinario di Storia e Teoria dei media all”Università di Torino e la sociologa del Lavoro, Marcella Chiesi.
Il progetto – due anni di lavoro, 34mila euro di costi – è bello e ambizioso. E prevede che i 5 mila dipendenti di Palazzo Vecchio si uniformino alla grammatica italiana ed usino il più possibile un linguaggio che prenda in considerazione uomini e donne in ogni pratica e/o documento. Ad aiutarli, le linee guida preparate dal Comitato pari opportunità del Comune con la collaborazione dell’Accademia della Crusca. 38 pagine chiare e semplici che non lasciano spiragli a prestesti. «Realizzare l’obiettivo del progetto forse rasenta l’utopia, ma vale la pena provare se si pensa che vogliamo produrre un cambiamento culturale che andrà a vantaggio di tutte le persone», si legge nel documento. ””Molte donne non si riconoscono più nelle parole e nelle immagini della consueta comunicazione – ha spiegato dal canto suo l”assessora Giachi -. Il linguaggio è un organismo vivo che continuamente si modifica e modificandosi può contribuire a creare una società diversa. Per questo è importante usare e diffondere parole al femminile così come la lingua italiana prevede. Se il linguaggio che usiamo non nomina le donne, è come se le cancellasse: se non ne parli, non esistono”. Per Nicoletta Maraschio, presidente dell”Accademia della Crusca, “occorre dare riconoscimento anche linguistico al ruolo sempre maggiore, professionale e lavorativo, ma non solo, acquisito dalle donne nell”ambito della nostra società”. “Questo convegno vuol essere un contributo per cambiare un costume così sbagliato. Si tratta di un percorso lungo e sicuramente difficile. Nell”attesa, potremmo cominciare ad esercitarci. Per far capire che l”alternativa non è poi così difficile da praticare””. Siamo tutte d”accordo.
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