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La polemica seguita all”immissione sul mercato europeo di un esame del sangue da fare in casa per diagnosticare la sindrome di Down del nascituro, di cui Cronache Laiche ha dato notizia nei giorni scorsi, lascia perplesso anche chi, come noi italiani, è ormai assuefatto all”ostracismo verso l”autodeterminazione della donna. Eppure i tanti anni di connubio tra berlusconismo e clericalismo, che hanno prodotto sottosegretari alla Salute al pari di Eugenia Roccella, dovrebbero averci abituato alle battaglie “pro vita” che si svolgono sul corpo delle donne in totale spregio dei loro diritti.
La richiesta di divieto alla commercializzazione del test, a oggi già adottato da Germania, Austria, Svizzera e Liechtenstein, è arrivata anche alla Corte europea dei diritti dell”uomo per mano della Federazione internazionale degli affetti da Sindrome di Down – un”organizzazione che conta 30 associazioni in 16 paesi – con la motivazione di «proteggere la vita delle persone down e di quelle con altri handicap». Come se il Prenatest, questo il nome del kit di diagnosi fadaté, le minacciasse di morte.
Il gioco è sempre lo stesso: difendere la vita di qualcosa che vita non è utilizzando stratagemmi lessicali che mirano a confondere le parole e i concetti ad esse correlati. In questo caso si cerca di trasformare il diritto di scelta della donna in discriminazione verso una categoria di persone. Sulla stessa scia qualcuno potrebbe battersi per “proteggere la vita” di ipotetici bambini biondi o con gli occhi verdi o con il naso aquilino che bambini non saranno mai perché la madre interrompe la gravidanza entro i termini di legge per motivi che non sta a nessuno sindacare. E addirittura si potrebbe fare una crociata per proteggere la vita di tutti i bambini che a causa della contraccezione non saranno mai neanche concepiti.
Il principio formale che muove questa ennesima campagna oscurantista, comunque, è che se il test non è invasivo e non è costoso (al contrario delle attuali amniocentesi e villocentesi), se la donna non soffre, se basta andare in farmacia e comprare il kit, allora si assisterà a un incremento esponenziale degli aborti.
Il tutto ricorda molto da vicino le “motivazioni” con le quali è stata aspramente combattuta, da noi, la pillola abortiva Ru486: “abortire diventerà come bere un bicchiere d”acqua!” E via con paletti e restrizioni, tali da rendere l”aborto chimico, a oggi, un calvario per le donne che volessero sceglierlo (compresi la ricerca di una struttura regionale che lo pratica – se lo pratica – e il ricovero di tre giorni). Stesso discorso per la pillola dei cinque giorni dopo: secondo gli italioti sostenitori della vita a ogni costo dopo qualche giorno è già aborto e allora bisognerebbe andare in ospedale e passare per tutta la trafila prevista dalla legge 194, compresi colloqui, visite e intervento chirurgico. Il che si è tradotto, a colpi di rimpalli tra commissioni parlamentari durati anni, in un iter talmente farraginoso per farsi prescrivere la pillola che è quasi impossibile completarlo nel termine dei cinque giorni dal rapporto a rischio.
Nel caso particolare del Prenatest, dire che “aumenteranno gli aborti” significa attribuire all”esame diagnostico un principio etico che non ha. Come se in sé portasse implicitamente una scelta. Come se non fosse solamente un mezzo scientifico più rapido, precoce e meno invasivo per prendere una decisione meditata e consapevole e, particolare non irrilevante, consentita dalla legge.
Fornire alle donne i migliori e più indolori strumenti di diagnosi precoce sulla gravidanza dovrebbe essere la priorità di ogni paese civile, aperto, per sua stessa definizione, al progresso della scienza.
Ma in realtà, in questo come negli altri casi, ci si scaglia sul mezzo (il test) per colpire il fine: il diritto di scelta della donna.
Nessuno penserebbe mai di opporsi a un metodo diagnostico innovativo che riguardi una qualsiasi malattia, o a un nuovo farmaco che se assunto eviti un intervento chirurgico. Anche i cattolici più fondamentalisti plaudono al progresso scientifico se aumenta la qualità della vita delle persone. Purché, però, non si vadano a toccare quei temi definiti “sensibili”, fecondazione e fine vita, pilastri di una religione che priva l”individuo del possesso della sua stessa vita. In questi casi il progresso scientifico diventa una “scorciatoia” per il peccato e va osteggiato in tutti i modi possibili. Se proprio una donna vuole peccare, paghi con il dolore fisico e psicologico l”infamia della sua scelta.
C”era una volta Eva. Infida e tentatrice, fece precipitare l”umanità intera dall”Eden alla vita terrena fatta di lavoro e sacrifici e in più, per le sue simili – geneticamente corree del peccato originale -, sottomissione all”uomo e dolore nella loro “funzione primaria”, la riproduzione. Ma se la Bibbia, per datazione storica, di dolore prevedeva solo quello del parto, a estendere la sofferenza femminile a tutto ciò che ha a che fare con la sessualità ci hanno pensato gli uomini. Vale a dire i maschi, o meglio quei maschi che, seppur sprovvisti di utero, hanno eletto i precetti biblici – e conseguenti deduzioni della Chiesa – a codice penale per tutta la popolazione femminile.
E magari fossero solo i preti di Santa Romana Chiesa, magari fossero solo le associazioni cattoliche. Ben più importanti fenomeni politici ruotano in questo momento intorno al controllo del corpo femminile. Accanto ad attori di periferia come il sindaco di Roma Gianni Alemanno che marcia “per la vita” per le strade della capitale insieme a inquietanti personaggi di altrettanto inquietanti formazioni catto-fascio-oltranziste, è proprio sul diritto all”aborto che si sta inasprendo la campagna per le presidenziali americane, con i repubblicani che ne propongono l”abrogazione (e nel frattempo farneticano di stupri di serie A e stupri di serie B), ricevendo nientemeno che la benedizione del presidente dei vescovi americani per il loro candidato Romney che sfiderà Obama nella competizione elettorale.
Maschi, appunto. Tranne rare eccezioni – vedi la succitata Eugenia Roccella che ha pervicacemente attentato, e con successo, all”autodeterminazione delle donne italiane – queste battaglie di inciviltà sono condotte sempre da uomini su corpi che non sono i loro. Quegli uomini che non partoriscono e non allevano figli. Che non potrebbero decidere, e neanche discettare, su qualcosa che non conoscono. Tanto più se preti, che almeno per voto sacerdotale dovrebbero ignorare persino i rudimenti della sessualità. Maschi misogini che, pur rifiutando una naturale funzione umana, ci hanno costruito sopra un impero di controllo delle coscienze contro il più sacrosanto dei principi: la libertà.
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