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La violenza contro le donne “non ha confini geografici o barriere culturali, ma come un virus, si adatta e resiste ai cambiamenti. Lasciando immutata la propria pericolosità”. Lucia Ferrante insegna Storia delle donne e di genere all’Università di Bologna, collabora attivamente con i centri antiviolenza dell’Emilia Romagna e, con Maria Clara Donato, ha curato il numero di “Genesis”, rivista della Società italiana delle storiche, dedicato alla violenza di genere: “La storia delle donne – spiega – non può essere disgiunta dalla violenza. Le donne sono sempre state molestate, stuprate e uccise, fuori e dentro casa, da sole e in gruppo”.
Ma nella varietà in cui si manifesta la violenza c”è un elemento comune di fondo. Per intenderci: le aggressioni di Piazza Tahrir e i femminicidi in Italia stanno dentro ad un unico modello di rapporto tra generi: “Il modello patrilineare della parentela – spiega Lucia Ferrante – ha creato in tempi molto antichi un sistema di potere esercitato dai membri maschili della parentela, il patriarcato, in cui le donne erano essenzialmente viste come fattrici di figli destinati a perpetuare le famiglie dei mariti. La loro capacità riproduttiva, risorsa senza la quale ricchezze e potere non hanno mai avuto alcun valore, ma dalla quale in epoca storica le donne non hanno tratto vantaggio, è divenuta in realtà oggetto di contesa tra uomini”.
Ciò che conta nelle società patriarcali è la certezza della prole: “Gli uomini devono essere sicuri che gli eredi a cui consegneranno nome, status e beni siano i loro figli naturali. Di qui l”ossessione nei confronti della sessualità femminile, bene da custodire contro le stesse donne, concettualizzata nell”ideologia dell”onore sessuale che giustifica l”assassinio delle donne”. E che fa cadere una delle principali false credenze sulla violenza di genere: “che tra onore e religione esista una connessione intrinseca. Quanti affermano che il delitto d’onore sia proprio dei paesi islamici – spiega Lucia Ferrante – evidentemente non ricordano che l’articolo del codice penale italiano che lo riconosceva come attenuante, è stato abolito soltanto nel 1981”.
Se in molti paesi come l’Italia le differenze di genere sono state superate sul piano formale “la cultura patriarcale – precisa Lucia Ferrante – resiste nelle relazioni sociali e tra i generi. Ragione per la quale sebbene le leggi pongano su un piano di parità donne e uomini, questi ultimi continuano, in tutti gli strati sociali, a coltivare l”idea di possesso nei confronti delle donne”. Nonostante dunque cambino tempi e luoghi la storia resta la stessa: “I partners italiani che uccidono le donne che non li vogliono più e gli arabi che usano violenza contro le donne che hanno agito politicamente riaffermano il loro diritto, in quanto maschi, a disporre del corpo e delle menti di donne che, in quanto tali, non hanno il diritto di scegliere, di apparire, di parlare”. Insomma, di fare politica.
Quello che è accaduto alle donne che in Egitto hanno partecipato in massa alla rivoluzione contro il regime sembra esserne un esempio perfetto: “La costante presenza delle donne nei momenti di lotta per il cambiamento è stata considerata utile, ma mai davvero riconosciuta. Il momento in cui si decide, si danno responsabilità e potere è quasi sempre stato esclusivo appannaggio degli uomini. E la violenza è un mezzo formidabile per rinchiudere le donne nel privato e escluderle dalla vita pubblica. Non è un caso che le voci delle donne di paesi come l’Egitto che hanno tentato di avviarsi verso forme più democratiche siano udibili soprattutto attraverso internet, strumento utilizzabile nel chiuso delle proprie abitazioni”.
Anche nel democratico contesto politico italiano si è assistito, negli ultimi anni, a un arretramento: “Nella seconda metà del ‘900 le donne italiane sono state protagoniste di grandi cambiamenti e hanno ottenuto vittorie significative. Oggi l”atmosfera politica è cambiata, nonostante alcune conquiste siano state ottenute come la legge contro lo stalking del 2009. La violenza sessuale è infatti ricondotta a una prospettiva di ordine pubblico, mentre passano in secondo piano i diritti individuali delle donne. Stiamo tornando a prima del 1996, quando questa violenza non era rubricata come un reato contro la persona, ma contro la morale pubblica, bene collettivo da tutelare”.
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