“Il fine ultimo della libertà di stampa non è quello di soddisfare un bisogno intellettuale del giornalista, bensì il diritto di informare la gente.
Una società che conosce poco ciò che accade fuori dai propri confini nazionali è una società impreparata alle enormi sfide che ci pone oggi la globalizzazione. Parlare di libertà di stampa senza dare la possibilità ai giornalisti di poter lavorare all’estero in condizioni di sicurezza è purtroppo un esercizio di pura retorica. Non andare nei posti pericolosi è solo una scorciatoia.
Da Tucidide a Terzani la storia dell’umanità è stata accompagnata da storici e cronisti che raccontano la guerra.
Il nostro collega Domenico Quirico ha voluto seguire la stessa sorte, oggi non abbiamo sue notizie e sentiamo la sua mancanza. In attesa del suo ritorno oltre a esprimere tutta la nostra solidarietà, potremmo provare ad aprire una riflessione sul deterioramento delle condizioni che accompagnano questo mestiere.
Su cosa significa per un free lance viaggiare senza assicurazione in luoghi sensibili da dove scrive, a volte, per 40 euro a pezzo. Non lo obbliga nessuno, certo, ma tanto l’inviato di guerra è una figura imprescindibile, un ruolo che qualcuno dovrà pur sempre ricoprire.
E allora mi chiedo, forse un po’ ingenuamente, perché non provare a proteggerlo? “