‘Nella giornata mondiale dell”Unesco per la libertà di stampa, una frase di Laura Boldrini mi colpisce: “Ho paura quando i fotografi inseguono mia figlia di 19 anni in motorino, ho paura che possa spaventarsi e avere un incidente, mi si gonfia in cuore. Ho paura quando si appostano sotto casa di mio fratello Enrico, il più piccolo dei miei fratelli, che soffre di una forma grave di autismo. Non capisco come possano farlo, e ho paura per lui”.
Nella stessa intervista la presidente della Camera ha parlato di una certa deriva folle e violenta che rigurgita dalle chat, dai social network. Minacciosa, sessista, fascista, con una ferocia crescente e nota. Basta entrare nei commenti di qualunque mezzo di informazione online per capire quanta rabbia e stupidità si fondano. E non si tratta di una generica anarchia del web, ma di qualcosa che sembra originare nell”impressione che il mezzo e l”anonimato consentano reati. Vi ricordate la diretta di Radio Radicale gonfia di insulti razzisti e volgarità contro tutti? Dalla radio al web, la stessa base culturale. Solo che il web amplifica.
Ma quello che colpisce delle dichiarazioni di Boldrini è invece la normalità dell”informazione, la libertà di stampa calpestata per fare gossip, per fare uno scatto in più, per andare a cercare scoop del piffero senza alcun rispetto per gli esseri umani. Non si tratta di anarchia del web, ma di imbecillità dei media. Qualunque sia il supporto che usano. La carta non è da meno. E la tv? Abbiamo ancora negli occhi l”umiliazione per la categoria informativa dell”intervista al figlio di Preiti di undici anni. E le interviste rubate ai citofoni. E gli inseguimenti per strada col microfono sguainato, e un”informazione fintamente aggressiva, fintamente d”inchiesta, che serve solo a sollevare polverone senza mai andare a fondo, senza mai cercare di interpretare la realtà che viviamo. Boldrini parla anche di questo, mi pare.
E parla di cultura. Perché nell”ultimo ventennio, lentamente, si sono perse tracce di una cultura della solidarietà, del rispetto civile. L”orda maschilista e violenta sta prevalendo con tutto il corollario dei suoi luoghi comuni, e non certo per colpa della rete: piuttosto per l”abbandono di politiche culturali, per l”aumento dello strepitio di fondo e per la costruzione di un immaginario patinato e televisivo. Dice ancora la presidente della Camera: “Ci sono due temi di cui dobbiamo parlare a viso aperto. Il primo è che quando una donna riveste incarichi pubblici si scatena contro di lei l”aggressione sessista: che sia apparentemente innocua, semplice gossip, o violenta, assume sempre la forma di minaccia sessuale, usa un lessico che parla di umiliazioni e di sottomissioni. E questa davvero è una questione grande, diffusa, collettiva. Non bisogna più aver paura di dire che è una cultura sotterranea in qualche forma condivisa. Io dico: un”emergenza, in Italia. Perché le donne muoiono per mano degli uomini ogni giorno, ed è in fondo considerata sempre una fatalità, un incidente, un raptus. Se questo accade è anche – non solo, ma anche – perché chi poteva farlo non ha mai sollevato con vigore il tema al livello più alto, quello istituzionale. Dunque facciamolo, finalmente”.
Dice una cosa saggia. Parla di cultura e mi sembra, avendo una buona frequentazione del sistema informativo, che predichi nel deserto. Ma sta a noi che non vogliamo accettare questa deriva battersi per evitare che tutto finisca in un unico buco nero mediatico. E che l”informazione, che sempre si autoassolve, si interroghi un po”.
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