Violenza sulle donne: nasce Edv Italia

A Milano oggi presentazione alla Bicocca, presente anche la fondatrice Patricia Scotland. Intervista di [Claudia Stamerra]

Violenza sulle donne: nasce Edv Italia
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31 Maggio 2013 - 09.23


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Nasce anche in Italia la Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence (EDV). La presentazione è oggi, 31 maggio, all’Università di Milano Bicocca, alla presenza della fondatrice: la baronessa Patricia Scotland. Presidente di EDV Italia è la scrittrice e avvocata Simonetta Agnello Hornby, direttrice Marina Calloni, coordinatrice Giorgia Serughetti e del Comitato Direttivo fanno parte Patrizia Farina e Claudia Pecorella. Tra gli scopi di EDV Italia, far sì che anche nel nostro Paese possa essere applicato il “metodo Scotland”.

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Patricia Scotland di Ashtlal, avvocata, componente della Camera dei Lord, ex viceministra dell´Interno in Gran Bretagna é stata la prima britannica a ricoprire la carica di procuratrice generale del Regno Unito. Ha fondato la “Global Foundation for the Elimination of the Domestic Violence” (EDV), per il contrasto alla violenza contro le donne a livello globale. In Gran Bretagna il suo progetto integrato ha ridotto la violenza domestica del 64 per cento e sta approdando anche in altri paesi.

La violenza contro le donne é aumentata moltissimo, anche a livello globale. Per quale ragione?

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La violenza contro le donne assume forme e aspetti diversi. In generale può rappresentare uno strumento per tentare di controllare le donne e le loro attivitá, considerando che al giorno d´oggi queste sono molto più autosufficienti che in passato. Non ha frontiere geografiche, non guarda al livello di istruzione né di classe sociale, o di benessere economico. Ci sono poi diverse situazioni di violenza collaterali, legate a situazioni come separazioni o divorzi.

Per esempio, in una disputa riguardante gli alimenti spettanti alla vittima o ai suoi figli questa può essere posta in uno stato di svantaggio materiale senza avere il minimo controllo su eventuali richieste di riduzione. Spesso la vittima può non avere alcuna voce in capitolo sulle visite ai minori in caso di divorzio, anche se sa che il partner puó mettere a repentaglio la sicurezza dei figli. Queste questioni possono sorgere anni e anni dopo una separazione e rappresentano dei veri e propri colpi. Occorre mettere in chiaro che l´aggressore spesso é il piú influente e potente nel rapporto, anche a livello psicologico.

Qual é la relazione tra violenza e genere?

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La violenza riguarda, nel mondo, una donna su tre. Un terzo delle donne che popolano il nostro universo viene vessata, violentata oppure uccisa. Ció non toglie peró che esista una percentuale di uomini che subisce la stessa sorte e per i quali é necessario intervenire.

Il programma di contrasto alla violenza domestica che lei ha creato é stato applicato anche a paesi come Trinidad e Tobago con gli stessi risultati positivi.

Nel 2003, quando divenni sottosegretario alla giustizia nel governo laburista in Gran Bretagna, mi resi conto che il sistema con il quale si cercava di contrastare la violenza domestica era farraginoso e poco integrato. C´era una pluralitá di attori che volevano ridurre la violenza contro donne e bambini. C´era il governo, ovviamente. Ma anche i datori di lavoro, perché la violenza causa un danno economico non indifferente.
E poi associazioni, organizzazioni non governative. Ma agivano in modo piuttosto isolato in quel momento. Eravamo soli e ci siamo uniti. Abbiamo cambiato le cose, modificato l´approccio, mettendo in comunicazione settori pubblici, privati, produttivi, sanitari, legali. È sorprendente osservare come grazie al nuovo sistema la riduzione effettiva é stata di più del 60 per cento. Non sono solo numeri, si tratta di vite umane salvate.

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Dobbiamo decidere quale messaggio vogliamo inviare al mondo. Se scegliere di vivere un´esistenza dove donne e bambini sono vittime, oppure se fondare regole di rispetto e sarenitá. Ma per fare questo, non dobbiamo tacere. Il programma in seguito é stato condiviso con altri paesi, ottenendo ottimi risultati.

Il vostro progetto integrato contro la violenza ha coinvolto le aziende e i luoghi di lavoro.

Le aziende hanno dato una mano consistente, giocando un grosso ruolo. I vertici hanno compreso che chi é vittima di maltrattamenti o violenze non lavora in serenitá. Dobbiamo essere chiari, é molto importante che sui posti di lavoro si comunichi un messaggio: che di violenza si puó parlare apertamente. Abbiamo sensibilizzato i datori di lavoro sul costo delle violenze. Nel nostro paese era di circa 3 miliardi di sterline ogni anno. Numeri alti, ma reali. Settore per settore si perdevano diversi milioni. E cosí aziende ed imprenditori ci hanno ascoltato. Hanno preso la violenza contro le donne molto seriamente e modificato il modo in cui queste possano sentirsi in grado di parlare a voce alta, anche sul posto di lavoro.

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Qual é stato il maggior veicolo di cambiamento in merito all´approccio integrato?

In Gran Bretagna abbiamo sottoposto la legge contro la violenza ad una revisione, per fare in modo di difendere al meglio le donne e i più vulnerabili, come i bambini. Questa azione é stata un catalizzatore per il cambiamento. Abbiamo raccolto dati, li abbiamo organizzati in un database. Volevamo essere sicuri di quanto le violenze contro le donne incidessero nella societá, di cosa funzionasse e di cosa non funzionasse affatto. È triste annotare che molti governi abbiano pensato di aver fatto tutto il necessario contro la violenza e non avessero prestato attenzione a questo tipo di sforzo conoscitivo.

Il nostro schema prevede anche un consistente aiuto legale alle donne vittime di violenza domestica, anche nei casi in cui compaiono i minori.
Una delle ragioni per cui sono determinata a condividere la metodologia che abbiamo sviluppato in questi lunghi anni di lavoro, é perché credo che gli stessi risultati che abbiamo ottenuto nel Regno Unito si possano ottenere in qualunque paese del mondo. Siamo pronte a comunicare con chiunque voglia utilizzare il nostro approccio per trarre spunti di lavoro e di azione. Crediamo nella condivisione del metodo e pensiamo che si possa instaurare uno scambio costruttivo anche con gli altri paesi.

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A parte il caso di Trinidad e Tobago, con quali paesi avete scambiato competenze ed idee per combattere la violenza?

Nel 2006 ci siamo sedute ad un tavolo con alcune colleghe spagnole e ci siamo confrontate. Il risultato é che loro hanno modificato la loro legge contro la violenza, creando una sezione specializzata del tribunale per i casi di violenza domestica sulla scorta della nostra esperienza. Gli esiti sono stati positivi. Io credo fermamente che si possa seriamente imparare gli uni dagli altri, e imparare dagli stessi cambiamenti che si pongono in essere.
In Spagna tra il 2006 e il 2010, a seguito del nostro incontro e della modifica della legge, la violenza sulle donne si é ridotta del 25 per cento. In soli quattro anni.

Il progetto oggi é operativo in Spagna, e ne stiamo parlando in Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti d´America, India. Sono speranzosa.

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Cosa possono fare i media per contribuire ad eliminare la violenza domestica?

I media svolgono una parte molto importante in parte della campagna che conduciamo dal 2003 in relazione alla violenza contro le donne. Quando abbiamo iniziato a condurre il progetto, ci siamo resi conto che le vittime erano isolate, spaventate, impaurite. E poiché la violenza non ha classe sociale né nazionalitá, le reazioni erano diverse. C´erano donne abbienti che provavano un forte imbarazzo, perché i loro mariti, professionisti o professori, le avevano trattate in modo inequivocabile.
È difficile accettare che una persona con lavoro prestigioso e orientato al sociale potesse compiere gesti brutali. Eppure accade regolarmente, non é una novitá. Cosa possono fare i media? Possono raccontare le storie delle donne. Possono far sentire le persone meno sole. Possono rendere un fatto condiviso, e trasmettere messaggi positivi, di azione. In questo modo le donne hanno la possibilitá di venire a sapere che non sono condannate a vivere relazioni distruttive od oppressive.
I media possono accendere una luce di speranza. Con campagne informative su quotidiani e settimanali, e poi in televisione. Televisioni e giornali possono diventare la vera forza delle donne. Dicendo prima di tutto la veritá. E cioé che la colpa non é delle donne. La colpa é dell´assalitore, dell´aggressore. E le donne possono entrare in un diverso ordine di idee, di non essere destinate a subire atto violento. Il modo in cui i media raccontano una storia di violenza é fondamentale perché può contribuire fortemente a far sentire le donne meno isolate, spingendo altre donne a venire fuori, a raccontare le loro storie.

Avete mai fatto dei training speciali ai giornalisti?

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Abbiamo tenuto molti seminari con i giornalisti, per renderli partecipi di come raccontare una storia. Seminari interattivi, con uno scambio concreto e produttivo. Abbiamo condotto un programma alla radio e in televisione dove molte di noi sono apparse e intervenute. Abbiamo creato una helpline, una linea telefonica di aiuto dopo il programma, per permettere alle donne coinvolte dalla violenza di venire allo scoperto, di parlare. Siamo anche entrate nelle soap opera! In East Enders (una soap storica inglese) siamo entrate con una storia di violenza, e questo per permettere di comunicare a tutti i livelli del sociale.

E poi siamo andate nei supermercati e abbiamo affisso le informazioni per il pronto intervento violenza. Le abbiamo affisse anche nei bagni, nei pub, ovunque c´erano donne. Volevamo che tutte fossero informate delle linee guida contro la violenza e che c´erano persone in grado di aiutarle.

Il messaggio che abbiamo sviluppato non riguarda i soldi, ma il fatto di riunire le persone insieme e fare in modo che queste utilizzino le loro risorse in modo efficiente per dare un forte contributo alla questione della violenza contro le donne.
Se le persone si uniscono, possono farcela. Le donne non devono lottare da sole.

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Quali sono i cardini di questo approccio integrato?

Abbiamo fondato un comitato interministeriale sotto la responsabilitá del ministero dell´interno, con un sottosegretario specifico con delega per la violenza contro le donne. Ci sono dei meeting interministeriali a scadenza regolare per deliberare le successive azioni politiche e pragmatiche da portare avanti per combattere la violenza domestica, io presiedevo i primi.
Quando ero sottosegretaria al ministero dell´Interno capii che la violenza contro le donne non poteva far parte esclusivamente del mio ministero. Questo perché le esigenze riguardano la salute, l´impiego, l´assistenza sanitaria e sociale. E capii che molte delle donne vittime di violenza avevano figli, che non andavano a scuola. E questo riguardava il ministero dell´istruzione. Se si volgeva lo sguardo verso una vittima, si capiva che ad essere coinvolti erano tutti i ministeri, non uno solo. Non c´era un ministero che non fosse coinvolto dalla violenza contro le donne. Per questo creai, ovviamente con il sostegno del nostro primo ministro, un comitato interministeriale per aiutarmi a produrre quel cambiamento nel quale credevo. Io non credo che la situazione italiana sia cosí diversa.

Quali sono i costi dello schema?

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La violenza uccide più donne delle malattie a livello globale. È una questione di scelta: vogliamo sradicare il male oppure no? Dal 2003, in Inghilterra, abbiamo dedicato risorse economiche, sociali e governative per combattere la violenza contro le donne. Ma oggi sappiamo che ogni singola sterlina ha prodotto ricchezza, anche e persino in termini di prodotto interno lordo. Sappiamo che possiamo riservare dei soldi per salvare delle vite umane. La vera domanda é: scegliamo di farlo?

Qual é l´aspetto piu´ difficile della lotta alla violenza domestica?

La violenza domestica puó caratterizzarsi in molte fattispecie. Può essere fisica, psicologica, economica, emotiva. La cosa piú difficile é convincere le vittime di violenza che la colpa non é loro. La colpa é dell´aggressore. In molti contesti sociali la vittima é vista come un soggetto da bandire, viene collegata all´idea della vergogna. Spesso ci si vergogna di loro. Alcune vittime pensano invece di avere delle colpe a causa del fallimento nella scelta del partner che si é rivelato violento. Ebbene, é importantissimo far comprendere alle vittime che loro non hanno alcuna colpa. La colpa é dell´aggressore. Uno dei problemi piú grandi che si incontrano é proprio quello di far emergere dal buio le donne vittime di violenza, che spesso restano nel silenzio. La gente chiude gli occhi, resta in silenzio, non vuole essere coinvolta. Invece bisogna parlarne, bisogna rendere la gente consapevole che se ci sono delle vittime, siamo tutti vittime. Non c´é nulla di più importante del parlare.

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