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La battaglia di civiltà contro il femminicidio e contro le violenze maschili sulle donne comincia dall’informazione.
Non solo quella che tratta lo stillicidio quotidiano di violenza e di morte e che ancora non riesce a mettere al bando, una volta per tutte, lo schermo deformante della “passione”, del “troppo amore”, del “raptus” e della gelosia, quasi a voler giustificare la mano omicida.
E’ tutta l’informazione che deve cambiare passo, rappresentando le donne in modo corretto e aderente alla realtà, a partire dal linguaggio.
C’è ancora molta strada da fare, nelle redazioni e ovunque si produca comunicazione, se basta la tristissima notizia, malamente battezzata “baby prostitute dei Parioli”, per ridurre l’informazione a buco della serratura. A caccia di scoop pruriginosi, una stampa di cui ci vergognamo ha calpestato due adolescenti anziché esercitare il suo dovere d”inchiesta sui loro sfruttatori: chi le vendeva e chi le comprava. Ha scavato nella vita delle minorenni, all’inseguimento dei più intimi particolari, anziché approfondire le cause del disagio e soprattutto anziché indagare il mondo dei loro aguzzini.
Anche questa è violenza.
Le ottocento giornaliste che hanno aderito a GiULiA, la rete delle Giornaliste Unite libere autonome, lo denunciano con forza nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E continueranno a richiamare, tutti i giorni dell’anno, l’informazione alla sua responsabilità.
Perché fare meglio e di più si deve e si può.
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