A Sylvia, che cercava morte e poesia

A 50 anni dalla sua morte per suicidio, le parole di Sylvia Plath tornano in uno spettacolo in scena a Firenze, con la recitazione del pometto "Tre donne". Di [Marina Cosi]

A Sylvia, che cercava morte e poesia
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29 Novembre 2013 - 20.01


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Scriveva direttamente sulla propria vita, Sylvia Plath – bellissime e febbricitanti poesie -, sino a che la consumò tutta. Bostoniana, morta suicida a 31 anni, a Londra nel 1963: ora, quando ormai il cinquantenario volge al termine, Firenze la commemora nel corso del decimo appuntamento d”un festival (Festa Toscana 2013) a sua volta nato per ricordare l”abolizione della pena di morte da parte di Leopoldo II.

La voce di Sylvia, che disperatamente gridava come la peggiore tragedia della sua vita fosse essere nata donna, ritorna grazie a Consuelo Ciatti, l”attrice che ricordiamo anche per Sangue Nostro – la pièce contro la violenza sulle donne andata in scena a Prato e poi parzialmente replicata il 12 novembre a Milano all”inaugurazione della mostra fotografica di Giulia – e ad altre due attrici toscane, Marion d”Amburgo e Ornella Grassi.

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Martedì 3 dicembre a Palazzo Bastogi (Firenze, via Cavour 18) alle 17,30, lo spettacolo inzierà con la corale recitazione del poemetto “Tre Donne”, in cui Sylvia Plath affrontava con tutto il diapason emotivo – la gioia il dolore l”angoscia il rifiuto – il tema della maternità, e proseguirà con la lettura di altre sue poesie, tutte sul filo del dolore dell”esistenza (“Come vorrei credere nella tenerezza”).

Modernissima la sua riflessione sui muri di cristallo che dividono la vita possibile dalla vita reale, se si pensa che già alla fine degli anni Cinquanta scriveva: “Quello che più mi fa orrore è l’idea di essere inutile: ben istruita, piena di promesse, sbiadita verso una maturità indifferente. Invece di dedicarmi alla scrittura mi impietrisco nei sogni, incapace di sopportare la delusione dei rifiuti”. In fondo l”unico suo romanzo si intitolava proprio “La campana di cristallo”.

“La perfezione è terribile”, rifletteva. Colpa della depressione, che da ragazza le “curarono” con elettroshock e che nè la letteratura nè l”amore di Ted Hughes nè due maternità riuscirono a consolare (era più forte, diceva, il ricordo dell”unico aborto che la memoria dei due parti).

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Una depressione nel cui fondo pescava le meravigliose immagini della sua poesia, perfetta anche metricamente oltre che stilisticamente, in cui sempre s”immaginava altra da sè: albero, foglia, tulipano, cadavere. Con tenacia e perfezionismo cercò anche la morte, visto che al terzo tentativo, numero perfetto, il suicidio le riuscì; ma prima di aprire i rubinetti del gas rassettò la cucina e portò la colazione nella stanza dei due figli ancora addormentati.

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