Dieci anni dall’assassinio di Politkovskaya. E non è finita | Giulia
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Dieci anni dall’assassinio di Politkovskaya. E non è finita

Una riflessione della segretaria del sindacato russo dei giornalisti, a dieci anni dall’assassinio di Anna, spiega come quella morte ci riguardi. Di [Nadezda Azhgikhina*]

Dieci anni dall’assassinio di Politkovskaya. E non è finita
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7 Ottobre 2016 - 10.22


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Anna Politkovskaya non è stata la prima giornalista uccisa in Russia dopo la fine dell’URSS. Il giorno del suo assassinio a Mosca, il 7 Ottobre 2006, l’elenco stilato dalla Fondazione Glasnost Defens comprendeva 211 persone. Durante la manifestazione di protesta che si tenne a Mosca nella centrale piazza Pushkin, ci vollero 40 minuti per leggere tutti quei nomi. Tuttavia la morte di Anna Politkovskaja è stata la prima a suscitare un’eco internazionale risvegliando dopo anni l’interesse per i media russi. Si contano a decine ormai le conferenze internazionali, i film, i libri, per non dire dei dibattiti e degli articoli in molte lingue. Anna è diventata un riferimento esemplare di dedizione alla professione e di lotta per i diritti umani. Anche perché in dieci anni la situazione non è migliorata. Anzi: oggi il numero di giornalisti uccisi o scomparsi o morti in situazioni poco chiare in Russia è salito a 350. Alcuni di loro hanno perso la vita durante i conflitti, nel Caucaso e in Ucraina orientale, ma molti sono stati uccisi lontano da zone di conflitto. E la maggior parte di queste tragedie si è conclusa senza colpevoli. Ciò peraltro in linea con quanto succede nel resto del pianeta: secondo i dati UNESCO, nel mondo meno del 10 per cento degli omicidi di giornalisti si conclude con l’incriminazione e la condanna dei responsabili, assassini o mandanti che siano. Val la pena ricordare qualche caso.

L’uccisione di Dmitry Kholodov del Moscovsky Komsomolets nel 1994 (nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che Federazione russa non era riuscita a condurre un’indagine adeguata), della star televisiva Vlad Lietiev nel 1995 (il ‘Larry King’ della Russia), di Larisa Yudina da Kalmykya nel 1999 (per i giornalisti russi è stata la prima icona di un giornalismo strenuamente impegnato nella difesa dei diritti umani). Quindi la misteriosa morte di Yury Shcekochikhin nel 2003 e poi sedici dei 17 giornalisti uccisi in Daghestan e molti altri.

La ricerca dei colpevoli dell’uccisione di Anna Politkovskaya, nonostante la condanna e l’incarcerazione di alcune persone, è ‘congelata’. Tanto che il redattore capo della Novaya Gazeta, Dmitry Muratov, s’è detto senza alcuna speranza. La cultura dell’impunità è la peggiore minaccia per la libertà dei media e per lo stesso sviluppo democratico. La direttrice dei Mass Media Difesa Center, avvocata Galina Arapova, ha scritto: “Tutte le leggi recentemente adottate creano ulteriori privilegi per i media di Stato, in particolare per la TV di stato” nel mentre “le autorità utilizzano le risorse amministrative per mantenere la stampa sotto controllo e censurare singoli giornalisti e organi di informazione”. Un esempio? “Il codice penale prevede circa 30 disposizioni che possono venire utilizzate contro giornalisti, dal reato di diffamazione e violazione della privacy fino alla pubblicazione di segreti di Stato, l’estremismo e il separatismo”. Aggiunge Arapova: “L’articolo 144 del codice penale, che dovrebbe proteggere i giornalisti dalle molestie e le loro attività dall’ostruzionismo viene utilizzato molto raramente”. Per gli studiosi di media sono oltre venti le nuove norme limitative e le modifiche di legge approvate in Parlamento dal 2014, mentre si è spesso approfittato della legge anti-estremismo per attaccare I giornalisti. Come pure si è sfruttata la regolamentazione restrittiva su Internet, che introduce dure sanzioni sino alla chiusura dei mezzi di comunicazione. Ad esempio la legge che vieta l’uso di un linguaggio osceno può portare a multe e al blocco temporaneo o definitive dei siti. Infine c’è la recente “legge Yarovaya”, dal nome del firmatario, che propone un improbabile (ed ingestibile, per motivi tecnici e finanziari) controllo totale di Internet.

Restrizioni nate anche come contraccolpo alle sanzioni antirusse che stanno inducendo un clima da Guerra fredda. Così molti media tradizionali assumono posizioni antioccidentali e antiamericane come risposta a quella propaganda antirussa di molta stampa occidentale che è tornata a dipingere la Russia come un nuovo “Impero del Male”. A loro volta molti giornalisti hanno paura di combattere la propaganda e, non volendo rischiare il posto di lavoro in questo periodo di pesante crisi e di tagli nel settore dell’editoria, si autocensurano. Ma molti altri si battono tramite testate indipendenti e producono contenuti interessanti e strategie innovative e coraggiose su diritti umani e giustizia. Purtroppo senza che all’estero ci si accorge di questo strenuo impegno, peraltro in un momento in cui la visibilità sarebbe fondamentale, stante la crisi economica che restringe lo spazio per la diversità. Alcune voci indipendenti hanno cercato riparo su Internet, ma molte non ce l’hanno fatta e hanno chiuso, nell’indifferenza generale. Questo perché da una parte la solidarietà tra i diversi attori dei media è scarsa e lo è anche fra gli stessi giornalisti, dall’altra la gente non sembra più consapevole dell’importanza del giornalismo indipendente come diritto e come bene pubblico. Il pubblico russo è passivo e le recenti elezioni lo hanno dimostrato chiaramente.

Quindi la sensibilizzazione del giornalismo come bene pubblico e l’impegno di tutti per sviluppare la solidarietà professionale potrebbero essere gli strumenti principali per superare la cultura dell’impunità e la pressione esercitata sulla libertà dei media. L’Unione russa dei giornalisti (RUJ) cerca di sviluppare questa consapevolezza. Per il 7 ottobre la RUJ ha organizzato presso il Club dei giornalisti di Mosca la rappresentazione de “La vita in Second”, sulla base di testi scritti da Anna Politkovskaya e Yury Shchekochikhin, recitato da giovani attori e rivolto soprattutto ai giovani perché conoscano e si riconoscano in coloro che sono morti per la verità.

I dieci anni dall’assassinio di Anna ci chiamano dunque in causa come giornalisti: è importante essere onesti e ammettere che il futuro dipende da noi, dalle nostre scelte quotidianamente ribadite, dalla capacità di tenere vivi i ricordi e di portare le voci indipendenti del giornalismo russo dinanzi al pubblico internazionale.

Anche così renderemo omaggio ad Anna.

*Nadezda Azhgikhina è segretaria generale RUJ (Unione dei giornalisti russi) e vicepresidente Efj (Federazione europea dei giornalisti)

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