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Ma che brava persona il prof sterminatore

Evitiamo le semplificazioni sui fattacci di cronaca. E proviamo a produrre nuovi strumenti utili al giornalismo per evitare la banalità del male lessicale

Ma che brava persona il prof sterminatore
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3 Luglio 2017 - 08.28


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di Marina Cosi

 

Ai tempi dei tempi, quando tutto sui e nei giornali era declinato al
maschile e la cronaca nera prevedeva che un collega stanziale in Questura,
detto “trombettiere”, telefonasse in redazione per fornire notizia e dati
sull’ultimo fattaccio, non esistevano i femminicidi. C’erano solo gli
omicidi oppure l'”ennesimo delitto in famiglia”. In questa stagione estiva
poi l’occhiello al pezzo era fisso; recitava “caldo killer”. Tutta colpa dei
bollori estivi, che “facevano esplodere” le aggressioni, anzi “vecchie
tensioni”. Quel che non è cambiato da allora ad oggi è il vicino di casa,
per il quale l’assassino era sempre “una brava persona” e che per assioma
“non si era mai accorto di niente”. E durante l’inverno? La terminologia
della titolazione di cronaca prevedeva qualche uxoricidio e una marea di
“incidenti domestici”.
Il “raptus” è approdato più recentemente in redazione, assieme a molte altre
definizioni mediche o supposte tali inserite nel vocabolario giornalistico
assieme ad altri tecnicismi e a una forte dose di parole straniere.
Giulia in questi anni ha condotto una battaglia serrata contro la banalità
del male lessicale, con interventi, documenti, corsi. Dobbiamo dire con
qualche successo. Per lo meno di raggiunta consapevolezza. Anche se
l’obiezione dei pur contriti colleghi e colleghe spesso era: ma raptus è una
parola breve e avevo poche battute per il titolo…
Il problema tuttavia rimane e oggettivamente la risposta non è facile: il
tempo di controllo della notizia e poi di scrittura si è mostruosamente
accorciato, causa crisi dell’editoria cartacea e soprattutto
dell’istantaneità dell’informazione online, mentre i giornalisti sono
sottoposti a ritmi di lavoro massacranti: da una parte redazioni decimate
costrette a passare soprattutto pezzi altrui velocemente, dall’altra una
pletora di freelance infimamente pagati che debbono, per sopravvivere,
produrre praticamente a cottimo… Certo, ci sono le eccezioni, ma in questo
caso sembra che l’uomo che morde il cane non faccia notizia.
E’ dunque assolutamente necessario che tecnici e giornalisti comunichino più
fra di loro. Pur avendo sempre noi giornalisti la consapevolezza che
sull’interpretazione delle motivazioni di questi atti le diverse scuole di
psicoanalisi, di psicologia analitica, di psicologia sistemica eccetera
offrono talora interpretazioni opposte, idem dicasi per i criminologi,
doppio idem per gli psichiatri. E tuttavia informarsi per informare resta
una strada obbligata.
Porto un esempio recentissimo. Sulla vicenda del “bravo professore” che ha
praticamente sterminato una famiglia, cioè lei, lui e il bimbo che lei
portava in grembo, invitandoli a cena e poi massacrandoli, i giornali si
sono scatenati. Giustamente, perché il nostro mestiere è raccontare e
indagare. Però già l’indomani avevamo ricevuto numerose segnalazioni da
Giulie di pezzi “scorretti” sulle principali testate. O magari l’articolo
pubblicato sul cartaceo era inappuntabile, mentre invece l’analogo pezzo
postato sulla versione online della stessa testata era pessimo.
Naturalmente i colleghi o almeno molti fra loro una cosa l’hanno imparata:
lasciar esprimere ad un “esperto” il giudizio sulle motivazioni del gesto.
Peccato che come si diceva, fra gli esperti le opinioni si fondino su
ipotesi scientifiche assai diverse fra loro. Così in questo caso abbiamo
visto uno psicanalista scrivere freudianamente che il binomio amore e morte
ha una radice comune e un altro invece junghianamente scrivere di amore come
follia mortale su un’altra testata, mentre subito dopo uno psichiatra
dichiarava che tale cortocircuito scientificamente non esiste. Intanto un
gruppo di donne chiedeva il nostro intervento e quello dell’Ordine (dove,
ricorderò, finalmente e grazie ad una giulia, esiste una mail, dedicata e
aperta ai lettori, di denuncia di scorrettezze giornalistiche, di stereotipi
e rivittimizzazioni).
La risposta è: evitiamo le semplificazioni. E produciamo invece uno
strumento utile al giornalismo. Come già avevamo fatto a proposito di errori
e stereotipi linguistici pubblicando “Donne, grammatica e media” – e come
torneremo presto a fare con un’aggiornata indagine tematica, perché
l’argomento resta fondamentale – , ora stiamo lavorando ad una ricerca sulle
cronache della violenza con esempi e la guida interpretativa di una
bravissima esperta.
Nel frattempo? Ovviamente denunciamo subito tutte le aberrazioni nel mentre
lavoriamo al (tentativo di) cambiamento. Utilizzando tutti gli strumenti a
nostra disposizione, a partire dai corsi. Ad esempio attorno ad uno spezzone
dello spettacolo “Desdemona e le altre” la collega (e giulia) Gegia Celotti,
coordinatrice della Cpo dell’Ordine nazionale, ha costruito un format che
porta criminologi, magistrati, storici a dibatterne con e fra i colleghi,
entro corsi o convegni in diverse città da Nord a Sud.

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