Presto il Manifesto di Venezia per il rispetto e la parità di genere | Giulia
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Presto il Manifesto di Venezia per il rispetto e la parità di genere

Giulia ne condivide la maternità. Con l'esplodere del Caso Weinstein, è importante che il maggior numero di giornaliste e giornalisti lo sottoscrivano

Presto il Manifesto di Venezia per il rispetto e la parità di genere
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17 Ottobre 2017 - 16.14


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Fra poco più d’un mese il Manifesto di Venezia, di cui Giulia condivide la maternità, sarà una realtà; tanto più importante quanto maggiore sarà il numero di giornaliste e giornalisti che lo avranno sottoscritto. Nel frattempo l’esplosione del Caso Weinstein dimostra il ruolo giocato dalla credibilità dei media nell’indurre le vittime ad esporsi e la pubblica opinione a solidarizzare. Come ha scritto Maria Corbi a proposito del New York Times: “Il ruolo dei media è fondamentale, ed è fondamentale come si sceglie di narrare questi fatti, a partire dall’uso delle parole”. Tema rilanciato da Anna Masera – “Lo svelamento di una realtà di cui tutti sapevano ma che tutti tacevano dipende dalla credibilità dei media” – oggi su La Stampa.

 

° Link ad Anna Masera “Nei giornali serve parità di genere

° Per firmare il manifesto basta un’email a giuliagiornaliste@gmail.com oppure a cpo.fnsi@gmail.com.

° Il Manifesto di Venezia

 

 

 

MANIFESTO DELLE GIORNALISTE E DEI GIORNALISTI

PER IL RISPETTO E LA PARITA’ DI GENERE NELL’INFORMAZIONE

CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE

ATTRAVERSO PAROLE E IMMAGINI

 

VENEZIA 25 NOVEMBRE 2017

 

Sistematica, trasversale, specifica, culturalmente radicata, un fenomeno endemico: i dati lo confermano in ogni Paese, Italia compresa.

La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica» e riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza.

La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi “civile”.

Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali.

La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (art.17).

Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo.

Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto, ci impegniamo per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.

 

Pertanto riteniamo prioritario:

 

1. inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori;

2. adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate;

3. adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale;

4. attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione, ampliando quanto già raccomandato dall’Agcom;

5. utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale;

6. sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi subisce e a chi esercita la violenza;

7. illuminare tutti i casi di violenza, anche i più trascurati come quelli nei confronti di prostitute e transessuali, utilizzando il corretto linguaggio di genere;

8. mettere in risalto le storie positive di donne che hanno avuto il coraggio di sottrarsi alla violenza e dare la parola anche a chi opera a loro sostegno;

9. evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle le donne;

10. nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare:

a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili;

b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento;

c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”;

d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.

d) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza nel rispetto della sua persona

 

Per adesioni: cpo.fnsi@gmail.com

 

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