«Le economiste contano», con questo titolo assertivo, che non a caso riecheggia il bel film Il diritto di contare, è stato annunciato l’8 marzo, contemporaneamente a Roma e a Milano, il nuovo corso dell’ormai collaudato progetto “100 donne contro gli stereotipi”. Dopo aver illuminato professionalità, determinazione ed entusiasmo di 131 scienziate, oncologhe e informatiche, astrofisiche e biologhe, chimiche e matematiche, la piattaforma online 100esperte.it si arricchisce di un focus su economiste ed esperte di finanza, un altro mondo finora dominato dagli uomini, forse perché il denaro che vi circola è davvero tanto…
Donne con curricula eccellenti – ne sono già stati raccolti 55 – che spesso, a parte alcune eccezioni, restano invisibili, privando la società di quel punto di vista femminile essenziale per contribuire al cambiamento. Nei prossimi otto anni, il PIL mondiale potrebbe aumentare di due punti percentuali, stima un rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), se il gap di partecipazione delle donne all’economia, in Italia attestato su 16%, si dimezzasse.
Durante l’evento, un bel traguardo per noi Giulie che abbiamo lanciato l’idea della banca dati, insieme all’Osservatorio di Pavia, appena un anno e mezzo fa – con il sostegno della Fondazione Bracco e della Comunità Europea – si sono intrecciate le voci di economiste di grande fama e qualità come Fiorella Kostoris, per oltre 40 anni docente di Economia politica, Magda Bianco, a capo del servizio di vigilanza della Banca d’Italia, e Paola Profeta, docente di Economia pubblica alla Bocconi.
Perché dunque così poche economiste nell’Accademia e nelle carriere? Forse non se lo meritano, o sono semplicemente meno competitive degli uomini? Intervistate e stimolate da un uomo, ovvero Daniele Manca, vice direttore del Corriere della Sera, le relatrici parlano di un doppio fallimento, dal lato della domanda e dell’offerta. Da una parte discriminazioni e pregiudizi radicati nei confronti delle donne (innanzitutto la convinzione che non sarebbero portate per la matematica, componente essenziale dell’economia), dall’altra sicuramente una minore propensione al rischio e alla competizione. La pressione psicologica, per esempio durante i test, sfavorirebbe le donne che sono meno rapide in situazioni di stress emotivo. Che fare dunque? In Italia abbiamo un maggiore capitale umano femminile ma anche un notevole gender gap. Forse occorrerebbe insegnare alle donne quelle competenze, come la velocità, con cui paiono avere scarsa familiarità.
E ancora, meglio insistere sulla meritocrazia oppure ricorrere a forzature come le quote? In realtà i due metodi non sono in contraddizione: secondo Fiorella Kostoris, le quote nei Consigli di amministrazione delle aziende sono efficaci se considerate una misura temporanea (tra l’altro l’ideale sarebbe il 50% e non solo il 30%), ma l’accento deve restare su meritocrazia e qualità, incentivi anche per le giovani generazioni.
Ma che cosa tiene lontano le donne dall’economia, il denaro o l’accesso alle politiche pubbliche?
Il denaro sicuramente hanno risposto tutte, tanto più che si tratta di un mondo contiguo a quello della finanza, dove girano ancora più soldi. Quanto al gender gap, è più forte nella sfera economica che in quella politica. Cherchez l’argent, in altre parole…
Abbiamo poi ascoltato il racconto di una giovane economista, un «cervello rientrato», ovvero Alessandra Faggian, che dopo aver passato quasi 20 anni all’estero, prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti, dove è diventata professoressa ordinaria di Economia, ha deciso di tornare in Italia per occuparsi di un «territorio ferito», e oggi insegna Economia Applicata al Gran Sasso Science Institute, nuova scuola dottorale con base a L’Aquila. «Il pregiudizio che più di tutti esclude le donne dall’economia è l’idea che siamo non razionali, emotive, e quindi inadatte alle formule e alla matematica – osserva –, ma questi sono condizionamenti che subiamo fin da piccole. Ricordo, nel 2002 in Inghilterra, a un corso di Economia del Lavoro sulla discriminazione di genere si raccontava di una scuola elementare dove venivano dati dei premi ai bambini: quello per il migliore in matematica era destinato ai maschi, quello per chi si prendeva cura meglio degli altri, alle femmine. Così finisce che ci autoescludiamo».
Dall’economia, siamo ritornate alla scienza con la bella esperienza di Lucia Votano, fisica delle astro particelle. Ma che cosa sono? «L’unione fra infinitamente piccolo e infinitamente grande», risponde lei con una sintesi poetica. Prima e unica donna a dirigere, fino al 2012, il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’INFN (Istituto nazionale di Fisica Nucleare), oggi fa parte del team dell’esperimento Juno, un enorme apparato sotterraneo che diventerà operativo dal 2020, nella Cina meridionale. La Cina del resto è protagonista anche del suo ultimo libro La via della seta. La fisica da Enrico Fermi alla Cina.
Secondo la scienziata, è in atto un cambiamento epocale: 1.900 dollari vengono spesi nel mondo per la ricerca, il 2% del PIL mondiale, mentre ci sono 10 milioni di ricercatori, a paragone con i 100mila dieci anni fa. Ma come vengono ripartite queste cifre a molti zeri? Il 40% dei fondi viene speso dal Continente Asiatico, il 30% dagli Stati Uniti e appena il 30% dall’Europa, che ha dominato il mondo finché ha avuto il primato della conoscenza, «perché nella storia la scienza anticipa e accompagna il mutare dei tempi». «Scienza – ha aggiunto – che è la più grande invenzione dell’uomo in quanto convenzione universale, intersoggettiva e valida per tutti e tutte». Mentre alcuni paesi europei stanno recuperando le forze, l’Italia arranca. Un unico dato per dare un’idea del divario: in Italia i ricercatori sono 4 ogni 1000 abitanti, mentre in Corea del Sud sono il 2% della popolazione. E le donne? Le ricercatrici nel mondo sono meno di un terzo dei ricercatori. Sono gap di cui occorre essere consapevoli se si vuole prendere in mano il futuro…
Altri dati, non sempre incoraggianti li ha forniti Monia Azzalini, dell’Osservatorio di Pavia: secondo il Global Media Monitoring Project negli ultimi due anni la rappresentazione delle donne nei media è addirittura diminuita, unica fievole speranza, le esperte interpellate sono aumentate dell’1,5%. Ci auguriamo che, anche grazie al nostro progetto, il trend possa accelerare…