Per Michela.
Bastano due parole. Non serve altro. Campeggiano in fucsia su uno striscione bianco che chiede giustizia per una donna e per tutte le altre vittime del possesso, uccise da uomini che le hanno annientate.
È il manifesto contro il femminicidio della Rete delle donne di Alghero che il 10 ottobre si è riunita davanti al Tribunale di Sassari. È iniziato il processo a Marcello Tilloca che il 23 dicembre dell’anno scorso ha assassinato ad Alghero la ex moglie Michela Fiori. Il Pm Mario Leo ha chiesto per lui l’ergastolo. Michela è stata prima ferita con un coltello, poi strangolata. Non è sopravvissuta alla violenza di un uomo che ha il calpestato il suo diritto a ridisegnare una vita senza sopraffazioni. Michela aveva deciso di separarsi. Non voleva più essere minacciata e vessata. Lavorava in una cooperativa che gestiva i servizi di assistenza domiciliare per conto dei servizi sociali del comune di Alghero. Era una donna che rivendicava dignità, rispetto, un’esistenza serena per i suoi due piccoli che ora stanno crescendo senza di lei, senza la loro mamma.
«Siamo qui perché vogliamo giustizia per Michela e per tutte le altre donne» ha detto Speranza Piredda, presidente della Rete delle donne di Alghero.
Per la prima volta in Sardegna un’associazione si è costituita parte civile in un processo per femminicidio. Un atto necessario: «Il nostro vuole essere un segnale forte. Per noi è stato un dovere civico e morale essere presenti qui oggi. Noi ci siamo. Per Michela, per tutte le donne, perché non sono e non saranno mai sole» spiega Piredda.
L’associazione, che si occupa di contrastare la violenza di genere, ha aperto ad Alghero un centro d’ascolto con uno sportello legale e lavora con le scuole per insegnare la cultura del rispetto e trasmettere un‘educazione priva di pregiudizi e stereotipi.
Se l’udienza del processo era a porte chiuse, fuori all’ingresso del Tribunale tante donne hanno partecipato al presidio.
Un gesto forte per dare un segnale a chi si trova in difficoltà e non trova il coraggio di denunciare:
«La violenza sulle donne non deve essere un fatto personale, ma interessa ed offende tutta la comunità». È un messaggio che la città Alghero ha trasmesso sin da subito. Ha stretto in un abbraccio di solidarietà i figli di Michela. Il Comune ha attivato un fondo per assicurare un futuro dignitoso ai due bimbi. Un provvedimento fortemente voluto dall’ex sindaco di Alghero Mario Bruno Sono stati raccolti oltre 100 mila euro. Un’iniziativa pionieristica, la prima in Italia di questo genere che è stata una risposta a un vuoto normativo. A livello statale la legge che dovrebbe tutelare questi orfani non è ancora operativa.
Le donne, intanto, continuano a essere uccise:
«Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale molto forte per estirpare questa violenza che non si ferma» asserisce Piredda.
Siamo di fronte a una strage continua. Solo negli ultimi sette giorni in Italia tre donne hanno perso la vita per mano di uomini violenti che non le hanno considerate persone libere di autodeterminare la propria esistenza. Zinaide Solonari a Bergamo, Cristina Maioli a Brescia, Mihaela Rosa a Teramo. Roberta Piperissa di Lecco lotta tra la vita e la morte, il marito l’ha colpita a martellate.
Le Donne della Rete di Alghero continueranno a presidiare il Tribunale. La sentenza del processo per il femminicidio di Michela Fiori è attesa per il 24 ottobre. Ci vogliono pene giuste per questi crimini. Per Michela e per tutte le altre.