È bastato un tweet per l’anniversario dell’assassinio di Matteotti, stavolta, per scatenare contro la collega Antonella Napoli il linguaggio d’odio dei social. Di nuovo, dopo gli attacchi e le pesanti intimidazioni dei mesi scorsi per il suo lavoro, i suoi reportage, le sue inchieste sull’Africa.
Sembrava assopito nei tempi del Covid quel veleno, quell’oltraggio continuo, che colpisce soprattutto le donne che hanno ruoli sociali, che si occupano di politica, che sono giornaliste e raccontano la realtà intorno a noi, donne che “si permettono” di testimoniare, indagare, denunciare, i mali del Paese e del mondo.
C’è senz’altro anche un legame con la rinnovata tensione politica, i social come specchio di quel che avviene nei Palazzi, se solo poche settimane fa abbiamo sentito apostrofare la ministra Azzolina, in Aula, da un deputato, con un linguaggio da trivio: “La credibilità è come la verginità, se si perde non si può più riacquistare”. Poi ovviamente le scuse, i “non avete capito”, tutto il corollario, mentre già si scatenava la furia social, la miccia era accesa.
Ecco la pubblica denuncia di Antonella Napoli: “Per oltre 12 ore, ieri, sono stata oggetto su Twitter dell’attenzione squadrista dei peggiori seminatori di odio della rete.
Chiunque ha il diritto di ribattere e dissentire dall’opinione di chi la pensa diversamente da lui, che sia giornalista o semplice cittadino. Nessuno più di me ha a cuore l’articolo 21 della Costituzione e la libertà di espressione.
Ma augurare lo stupro o la morte è intollerabile. Non è la prima volta che accade, non sarà l’ultima.
Per questo continuerò a segnalare alla polizia postale, come ho già fatto in passato, chiunque utilizzi toni e parole di odio nei miei confronti.
Grazie a tutti per la solidarietà!”
Non si può lasciar correre. Alla collega Antonella Napoli la solidarietà delle colleghe di GiULiA giornaliste, ma soprattutto l’impegno a continuare il nostro lavoro contro il linguaggio dell’odio. Insieme a Vox-Osservatorio dei diritti (diretto dalla collega Silvia Brena), portiamo avanti il lavoro di analisi su cosa scatena il linguaggio d’odio sui social contro le giornaliste e i giornalisti, ma soprattutto contro le donne che fanno informazione, e che sarà presentato dopo l’estate. Siamo nella “Rete nazionale per il contrasto ai linguaggi e ai fenomeni d’odio”, insieme ad associazioni, movimenti, dipartimenti universitari. Collaboriamo insieme alle colleghe delle Commissioni pari opportunità del nostro sindacato a un’ulteriore ricerca, internazionale, promossa dall’Università di Bologna.
Non basta. Bisogna essere noi per prime attente a rispondere all’odio con la ragione, alle fake news con la correttezza dell’informazione, e a non lasciar sole quante vengono aggredite. Perché il linguaggio d’odio è un veleno che, per chi fa un lavoro delicato come quello dell’informazione, viene riversato per fermare la mano che scrive. Per censurare.