Se c’è un volto che rappresenta il comunismo italiano del secolo scorso è il bell’ovale severo e regolare di Rossana Rossanda, capelli bianchi, un neo sopra il labbro, un aspetto da docente universitario più che da rivoluzionaria.
E invece Rossana Rossanda nata a Pola in Craoazia nel 1924, morta nella notte tra il 19 e il 20 settembrea Roma, è proprio l’immagine del comunismo eretico.
E non è un caso che in un paese misogino come il nostro sia quello di una donna intelligente, colta e coraggiosa, riservatissima, ma trasparente sia in politica che nella vita privata.
Suscitò grande scalpore il suo scritto sul Manifesto durante il sequestro Moro: “Chiunque sia stato comunista negli anni ’50 riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria”.
O quando nell’autobiografia, La ragazza del secolo scorso, lei – una vita tra comunismo e femminismo – scrisse che rimpiangeva di non aver avuto un figlio.
Dallo stalinismo che imperversava durante la sua formazione (ma lei era stata allieva del filosofo Antonio Banfi a Milano) ha ereditato solo l’indomabilità.
Minuta e fragile, in vecchiaia colpita da molti mali, ha attraversato quasi per intero un secolo, raccogliendo molte delusioni, ma lasciandoci un grande patrimonio culturale, politico, umano.
Una degli ultimi del gruppo del Manifesto (Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Valentino Parlato), la rivista che raccoglieva intellettuali critici con la Russia e il Pci, e che le costò la radiazione dal partito nel ’69, ha animato il giornale che per decenni è stato il più colto e creativo del Paese.
Ha rinunciato alla carriera universitaria per fare politica, e poi alla carriera nel Pci per coerenza e alla fine anche a collaborare con la sua creatura, il Manifesto, quando ha capito che la distanza tra i giovani del giornale e il suo modo di essere fuori dagli schemi era incolmabile.
È stata amica di Sartre, ha vissuto a lungo a Parigi con il suo compagno, Karol Karol, intellettuale polacco tra i fondatori del Nouvelle Observateur, ha accompagnato Lucio Magri a morire in Svizzera, rivendicando la sua scelta. Da due anni era tornata a Roma. La notizia è stata data dal Manifesto che martedì uscirà con un’edizione speciale dedicata a lei.