Il linguaggio d’odio è un attacco alla libera informazione. Il linguaggio d’odio può trasformarsi in censura. GiULiA giornaliste è vicina e solidale con la collega Antonella Napoli, una donna che ha affrontato e affronta situazioni difficili anche in paesi lontani – ha seguito recentemente le proteste in Sudan, dove è stata fermata in modo “anomalo” dalla polizia locale – che ora si trova a dover sopportare gli insulti sessisti via social. E che ha detto basta: “Dopo l’ultimo attacco degli squadristi da tastiera che risponderanno in tribunale delle minacce di stupro e delle offese alla sottoscritta, ho deciso di limitare l’accesso al mio account twitter.
Non è una mia resa, ma una sconfitta per tutti coloro che credono nella libertà di espressione e di informazione”.
Gli ultimi vergognosi e schifosi attacchi sono a seguito di un articolo di Antonella Napoli sui disordini di Forza Nuova a Piazza del Popolo. Scrive ancora la giornalista: “Il mio è un atto di protesta per ricordare che il fascismo non è un’opinione ma un crimine ed è assurdo che ci si possa autodefinire “fascisti” e postare insulti sui social senza che nessuno intervenga”.
Non è questione di “coraggio” affrontare insulti e aggressioni via social: chi sceglie il mestiere di informare sa che ci sono molte trappole sulla strada della buona informazione, dalle querele temerarie di chi non vuole che qualcuno vada a scoperchiare le sue pentole e i suoi affari oscuri, alle minacce delle mafie di tutto il mondo.
E Antonella Napoli, direttrice di Focus on Africa, esperta di informazione estera, ha già subito molti attacchi – anche gravissimi – per il suo lavoro. Ma l’insulto, l’offesa personale via social, l’aggressione sessista, che viene riservata a troppe colleghe, è altra cosa: è un problema di agibilità democratica. Per tutte e per tutti.