Nessun gap retributivo tra stranieri ed italiani nel comparto domestico: gli addetti regolari impiegati come colf, badanti e baby sitter godono, infatti, di un trattamento salariale sostanzialmente paritario, con un livello retributivo medio che su base annua è addirittura leggermente superiore per gli stranieri: 8.374,63 euro contro 7.364,61 euro degli italiani (elaborazioni dati Inps). Un’eccezione rispetto a quanto si osserva tra i lavoratori in generale, dal momento che, secondo quanto evidenziato nel Dossier Statistico Immigrazione 2020 di Idos, la retribuzione media mensile degli occupati stranieri (1.077 euro nel 2019) è nel suo complesso di ben il 23,5% inferiore a quella degli italiani (1.408 euro).
Sono questi alcuni dati presentati da Assindatcolf, Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, e dal Centro studi e ricerche Idos, curatore dell’annuale Dossier Statistico Immigrazione, nel corso dell’evento “Lavoro domestico dignitoso e salario minimo: a che punto siamo in Italia ed in Europa?”.
Anche guardando all’universo femminile, che tra i lavoratori del settore rappresenta l`88,7% del totale (in Italia lavorano in quest’ambito oltre 2 occupate straniere su 5), la doppia penalizzazione donna-straniera si annulla. Un dato decisamente in controtendenza rispetto a quanto avviene solitamente, visto che nel complesso, stando ai dati pubblicati nell’ ultimo Dossier Statistico Immigrazione, le lavoratrici straniere non solo guadagnano il 17,0% in meno (894 euro) rispetto alla media generale degli stranieri, ma anche il 28,2% in meno rispetto alle lavoratrici italiane (1.245 euro), già destinatarie di un salario medio più basso rispetto a quello degli uomini connazionali.
Un dato positivo che, però, deve essere letto anche in relazione al numero di ore regolari lavorate in un anno, che per gli stranieri non comunitari tende a essere superiore rispetto a quello degli italiani perché per loro il lavoro in chiaro, quello contrattualizzato, è indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno e mantenere anche uno status di regolarità giuridica.
D’altra parte, il differenziale retributivo tra italiani e stranieri tende fisiologicamente ad assottigliarsi, subendo per entrambi un appiattimento verso il basso, nei comparti in cui il livello salariale è già generalmente ridotto, come nel caso di quello domestico. “In Italia – dichiara Andrea Zini, presidente di Assindatcolf – a differenza di altri Paesi esiste un contratto collettivo nazionale. A nostro avviso, l’unico salario minimo possibile è quello contrattato tra le parti sociali nel Ccnl e che, purtroppo, anche a causa di costi troppo elevati già non viene accettato in 6 rapporti di lavoro su 10. Se prima non si modifica l’attuale sistema fiscale a carico delle famiglie datrici è impensabile immaginare di applicare un valore diverso e maggiore rispetto agli attuali minimi retributivi. Al contrario, si determinerebbero costi davvero insostenibili a carico delle famiglie che non farebbero che aumentare il lavoro irregolare ed accrescere le ingiustizie sociali”.
“La parità di trattamento – afferma Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche Idos – tanto tra uomini e donne quanto tra italiani e stranieri, richiede sempre di essere realizzata in una cornice di giustizia sociale, anche per quel che riguarda i salari . Soprattutto nel comparto del lavoro domestico, sarebbe auspicabile superare la fittizia contrapposizione di interessi tra lavoratrici straniere e italiane, rappresentate spesso in competizione, e promuovere invece un asse solidale che, in collaborazione con le famiglie datrici di lavoro, prema sul governo per la messa in atto di condizioni che permettano un trattamento effettivamente equo per tutti i lavoratori del comparto”.
Prosegue Di Sciullo: “Per far questo è necessario un sostegno strutturale della politica per le lavoratrici e i lavoratori del settore domestico ma anche per le famiglie italiane, bisognose di aiuto nello svolgimento quotidiano del lavoro domestico, così come di cura degli anziani.
Sarebbe auspicabile allargare forme di collaborazione familiare anche ai richiedenti asilo e protezione internazionale, permettendo così un ampliamento del bacino d’utenza in un comparto lavorativo che si è già dimostrato un potenziale modello d’integrazione specifico per molte donne straniere in Italia”.