È sufficiente conquistare un primato per raggiungere l’obiettivo? La nomina di Maria Chiara Carrozza a prima presidente nella storia del Cnr è senz’altro di grande rilievo (e ancor più che a nominarla sia stata una ministra, Maria Cristina Messa, alla guida del dicastero dell’Università e della ricerca): ma è la strada da perseguire, non un obiettivo raggiunto.
Siamo alla vigilia di una grande sfida: quella che vede le donne protagoniste della rinascita in chiave sostenibile, solidale, ecologica del nostro Paese.
La Next generation Ue chiama tutte e tutti ad un’assunzione di responsabilità; dice il presidente Mattarella:
“Ora dobbiamo preparare il futuro. Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono. La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti (…)”.
Ecco, siamo arrivati al punto. I ruoli dirigenziali nel mondo, in Europa, in Italia, sono ricoperti in gran parte da uomini.
Le donne in posizioni manageriali in Italia sono circa il 27% (fonte: Istat) del totale dei manager.
Si chiama “tetto di cristallo”, glass ceiling, ed è quel fenomeno per cui le donne, arrivate ad un certo punto della loro carriera, non riescono più ad andare oltre, non riescono a “sfondare” quell’invisibile ostacolo che impedisce loro di salire al vertice. Proprio come se ci fosse un tetto invisibile tra loro e l’ultimo piano da percorrere per raggiungere l’apice della carriera.
Più si va in alto, più si assottiglia la presenza delle donne.
Attenzione: non si assottiglia solo la presenza, ma anche il reddito.
È incredibile, ma è proprio così: le donne, a parità di mansioni, guadagnano il 23% in meno degli uomini (fonte: Istat).
Questo vale in tutti i settori, ma soprattutto nei settori scientifici, i cosiddetti STEM (Science Technology Engineering Mathematics), dove la presenza delle donne è ancora più evanescente.
Nel 2018 il tasso di occupazione femminile in Italia (popolazione 15-64 anni) è stato pari al 49.5% (Istat). Il corrispondente tasso maschile è pari al 67.6%.
Le giovani donne che oggi entrano sul mercato del lavoro sono più istruite dei loro coetanei praticamente ovunque, rappresentando il 57% del totale dei laureati (l’Italia, con il 59%, è sopra la media OCSE).
Ma il basso tasso di occupazione delle donne contrasta con i risultati dei loro titoli di studio. Le donne italiane sono oggi più istruite degli uomini: secondo il Censis (2019), le laureate in Italia sono pari al 56% del totale. Le donne sono anche la maggioranza anche negli studi post-laurea: rappresentano il 59,3% degli iscritti a dottorati di ricerca, corsi di specializzazione o master. Una media superiore addirittura alla media OCSE.
Sono però ancora in minoranza nei percorsi di laurea STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica).
Ma, passando dalla formazione universitaria alla carriera accademica, la situazione cambia drasticamente. Nel 2017 le donne rappresentano complessivamente il 40% dei docenti e ricercatori e costituiscono solo il 23% dei professori ordinari. Inoltre, la quota delle docenti e delle ricercatrici nelle aree STEM è bassa in tutti i livelli (36% in totale) e lo è soprattutto al livello più alto della carriera ove, per la qualifica di professore universitario si riduce al 19%.
Restiamo in ambito scientifico e guardiamo al settore sanitario
Tra gli iscritti all’Ordine professionale dei Medici chirurghi e Odontoiatri, assistiamo ad una nouvelle vague: una nuova ondata, o se vogliamo una ventata di freschezza che arriva dalle nuove generazioni.
Il totale gli uomini medico sono sempre la maggioranza, pari al 66% (212.941) contro 168.241 donne. Ma tra gli under 56 le donne sono il 52,72% e addirittura sotto i 40 le donne arrivano a rappresenta quasi il 60% degli iscritti all’Ordine. Tra i 30 e i 39 anni infine, arrivano quasi a doppiare gli uomini.
Eppure, anche in questa categoria registriamo quel tetto di cristallo che impedisce alle donne di realizzare il proprio empowerment: solo una donna su 50 diventa Direttrice di Struttura complessa e una su 13 responsabile di Struttura semplice (fonte: Anaao-Assomed).
Nei Consigli degli Ordini la presenza delle donne è in lenta ma costante crescita, ma le odontoiatre nei Consigli si fermano al 27%.
Le mediche iscritte alle Società di Ortopedia invece sono meno del 10%.
Un dato davvero esiguo: se “libertà è partecipazione”, siamo in una condizione di totale mancanza di libertà nella partecipazione alla vita democratica da parte delle mediche alla propria categoria.
Dobbiamo chiederci perché questo accada ed è quindi necessario porre in essere una campagna di sensibilizzazione che da una parte spinga le mediche a partecipare e allo stesso tempo convinca gli uomini a porre in essere meccanismi più inclusivi.
A proposito poi di stereotipi: è necessario che anche nella categoria dei medici e delle mediche si usi linguaggio di genere, quando parliamo di ruoli ricoperti da donne, riconoscendo loro, anche nelle parole, la “potenza” e il “potere” della carica che rivestono. Quando si tratta di uomini viene naturale, perché quando si tratta di donne s’incontra tanta resistenza?
Nella strada verso la gender equality uomini e donne devono remare nella stessa direzione.
Tra i 17 obiettivi che i 193 Stati aderenti all’Onu si sono imposti di raggiungere entro il 2030, il quinto è dedicato proprio alla gender equality: è un obiettivo trasversale a tutti gli altri, perché la parità di genere, l’emancipazione e l’autodeterminazione di tutte le donne e le ragazze è un tema strategico che orienterà tutte le scelte dei prossimi anni.
Perché? È semplice: la sottoccupazione femminile costa all’Europa 360 miliardi l’anno. Cioè la metà dei fondi del più imponente fondo che la Unione europea abbia mai messo a disposizione, quel Next generation UE con cui ho introdotto questa mia riflessione, che giunge a conclusione.
Significa che non c’è “next generation” senza il lavoro delle donne: non c’è un “dopo” senza “noi”.
Gli Stati europei dovranno valutare ex ante come ogni investimento che sarà finanziato dal Next generation fund andrà a modificare gli assetti delle società nella direzione della parità di genere e dovranno dimostrare di voler attuare ogni strategia che porti alle pari opportunità.
Serve dunque un cambio di marcia.
Una buona notizia da SIOT. Ma è davvero tale?
La Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) è stata la prima fra le società medico-scientifiche del network chirurgico italiano ad aver istituito la Commissione Pari Opportunità e Medicina di Genere.
Lo conferma Gaya Spolverato, presidente della società scientifica Women in Surgery, la quale aggiunge che questa decisione di SIOT “è un passo importante verso la gender equality in ambito medico-chirurgico; con l’auspicio che anche altre associazioni scientifiche possano seguirne presto l’esempio”.
La nuova CPO è stato uno dei primi atti ufficiali di Paolo Tranquilli Leali, neo presidente degli Ortopedici, che ha spiegato come “riviste autorevoli come il Journal of Bone and Joint Surgery e il Clinical Orthopaedic and Releated Research hanno pubblicato dati di allerta sulla scarsa rappresentatività delle donne in ortopedia, intesa come un fattore di sottoutilizzo di risorse umane di potenziale eccellenza, ed hanno cercato di individuare i fattori che la determinano e le strategie di possibile cambiamento”.
Di qui la decisione di aprire ad una Commissione che, nella lucida impostazione della coordinatrice Maria Silvia Spinelli, non deve diventare una sorta di “riserva indiana” per le donne Ortopediche ma un luogo in cui donne e uomini, insieme, costruiscano un’alleanza per il benessere di tutti.
La notizia quindi è senz’altro ottima se non fosse per un dettaglio: abbiamo dovuto attendere il 2021 perché solo UNA società scientifica attivasse l’organismo “Commissione pari opportunità e medicina di genere”. Onore e merito alla SIOT, ma la sensazione di “too little too late” resta molto forte.