Natale a casa Carrà, tra stinco arrosto e comunismo | Giulia
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Natale a casa Carrà, tra stinco arrosto e comunismo

La "Raffa" nazionale era una donna libera e coraggiosa, fuori dagli schemi, fiera di essere icona gay. Che ha saputo portare in tv, con leggerezza, la sua voglia di osare. [di Silvia Garambois]

Natale a casa Carrà, tra stinco arrosto e comunismo
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Silvia Garambois Modifica articolo

6 Luglio 2021 - 17.22


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“Rafaella Carrá, la diva que «siempre» votaba comunista y cantó sin pudor al sexo”: e così, con questo titolo, la saluta la Spagna che l’aveva rapita e osannata. In fondo, in poche parole, c’è tutta la Carrà.

“Ne vuoi ancora?”, sta facendo le parti di un enorme stinco, cucinato da lei: la sala da pranzo è assurda, una tolda di nave, dove stiamo strettissimi Sergio Japino, Valentino Parlato io e lei. I giapponesi le hanno regalato un televisore “sperimentale” (non avrà nessun successo), in realtà è un telone su cui un trasmettitore manda le immagini. Poiché anche il salotto è minuscolo, sembra che le immagini ci arrivino addosso, stiamo tutti “spalmati” sul divano con quei giganti sgranati che ci adocchiano. Si discute di giornali e di comunismo. Natale a casa Carrà.

L’invito è stato a sorpresa. Lei è la star, la super star. Fantastico 1991, quello in cui Benigni le salta addosso e lei stramazza al suolo: si era fatta male davvero, io ero dietro le quinte, come sempre, penna e taccuino, ma nessun telespettatore se ne poteva accorgere, sopraffatto dalla sua risata. Non ho mai confuso professione e rapporti personali: per tutti i lunghissimi sabato sera passati tra i camerini del Teatro Delle Vittorie, per tutte le ore di prove con gli ospiti strepitosi della tv di quegli anni. Neanche con lei, nonostante le mille interviste: era intelligente sempre, anche quando raccontava del giochino su quanti fossero i fagioli nel vaso all’ora di pranzo. Ma a telefonare quel giorno è l’ufficio stampa: la signora Carrà avrebbe piacere di averla sua ospite per la vigilia di Natale. Strana data per una conferenza stampa… il giornale (l’Unità!), dove – diciamolo – siamo sempre stati signori, in ogni caso le fa avere un mazzo di fiori. Macché, fuori dalla sua Emilia, in una casa d’appoggio, ha solo deciso di fare una cena per chiacchierare un po’ fuori dai ruoli.

Japino e Parlato discettano su Marx: non c’era ancora il “grande fratello” a spiare sull’attualità del pensiero marxista tra “Fantastico” e il manifesto, sulla tolda da pranzo della regina della tv. E come andavano le vendite dell’Unità, e i tempi in cui veniva portata casa per casa, a Bellaria… (Ma lo sai che per il tuo show con Benigni abbiamo dovuto fermare le rotative?).

Non c’è stata apparizione in tv che non abbia fatto scalpore. Che non abbia fatto tremare i “piani alti” di viale Mazzini. L’ombelico. Quell’ombelico di fuori! La Dc fece fuoco e fiamme. Ma vinse lei. E il tuca-tuca con Alberto Sordi? Una delle esibizioni più erotiche della tv italiana: ma chi poteva dir nulla di fronte a due mostri sacri.

Sì, perché Raffa, il suo caschetto, i modi spicci, la risata, le lacrime, l’ombelico, il tuca-tuca, era un mostro sacro. Libera e coraggiosa. E pure comunista.

Il binomio era sempre lo stesso: Baudo e Carrà. Del resto sono stati gli unici a trasformare in oro tutto quello che facevano. Prima le critiche e poi il plauso.

Raffa ha fatto cose terribili: ha aperto la tv all’ora di pranzo, si è messa al telefono in diretta col pubblico, ha rivoluzionato – complice dietro le quinte Gianni Boncompagni – l’approccio con la scatola televisiva. E “Carramba che sorpresa?” Un altro brivido. Ma le sue lacrime erano vere. Ci lasciava di sasso con programmi che sulla carta erano trash e a cui lei dava umanità. Poi, gli epigoni, sono diventati trash e molto peggio.

Come faceva a ballare così, ormai vecchia? Come faceva a essere così bella, ormai vecchia? E così amata. Ma l’hanno amata di più in Spagna, in America Latina. Per noi era la Raffa nazionale, non la “diva”.

Comunque, non si chiamava Carrà (nome d’arte, “rubato” al pittore Carlo Carrà), ma Pelloni, era cresciuta in una gelateria di Bellaria, aveva iniziato a 8 anni a fare cinema. Il Guardian l’anno scorso l’ha incoronata “sex symbol” europeo e nella sua vita ha venduto oltre 60milioni di dischi. Note biografiche che raccontano pochissimo di lei: di più, forse, nelle sue storie d’amore, tra Boncompagni e Japino, compagni d’arte che lei valorizzava. Da cui ha senz’altro avuto molto, a cui ha senz’altro dato moltissimo.

Racconta di più il fatto che fosse un’icona per la comunità gay, cosa che la inorgogliva, lei che era sexy in ogni sua movenza, che osava quello che nella tv di stato non si doveva osare. Che cantava l’amore libero da Trieste in giù. E che amava cucinare, anche uno stinco, per la vigilia di Natale. Mi aveva regalato una sveglietta (“quando vai inviata”), e l’aveva firmata: quanto mi dispiace che me l’abbiano rubata.

 

 

 

 

 

 

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