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Nella legge europea per la libertà dei media le grandi assenti sono le donne

La denuncia della presidente di GiULiA Silvia Garambois durante l'audizione alla Camera sulla legge europea sui media

Nella legge europea per la libertà dei media le grandi assenti sono le donne
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Silvia Garambois Modifica articolo

1 Luglio 2023 - 17.31


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Il 29 giugno 2023 si è tenuta l’audizione di Silvia Garambois, presidente di GiULiA giornaliste in Commissioni Cultura e Trasporti, nell’ambito dell’esame della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro comune per i servizi di media nell’ambito del mercato interno (European media freedom act). Di seguito la trascrizione del testo della relazione, delle domande dei parlamentari e delle risposte di Garambois

QUI IL VIDEO DELLA SEDUTA. AL MINUTO 34 L’INTERVENTO DI GARAMBOIS

GiULiA giornaliste è una associazione riconosciuta come ente del terzo settore, che associa giornaliste di gran parte del Paese, dalla Puglia al Trentino, dalla Sicilia alla Sardegna, dipendenti di giornali piccoli e grandi, dell’emittenza pubblica e privata, con ruoli dirigenti anche di primissimo livello o – nella gran parte, a specchio della categoria – autonome o precarie.

La premessa è d’obbligo per sottolineare come nostri sono i problemi già evidenziati in quest’Aula dalla Segretaria della Fnsi Alessandra Costante e dal Presidente dell’Odg Carlo Bartoli, e oggi da Vincenzo Vita e Elisa Marincola: mi riferisco in particolare al problema della tutela delle fonti, che all’articolo 4 della Proposta di Regolamento vengono condizionate “da un’esigenza di rilevante interesse pubblico”, che di fatto rischia di azzerare lo stesso diritto; dall’utilizzo degli spyware, per i quali si fa riferimento a “motivi di sicurezza nazionale”, anche qui una dizione che lascia aperte troppe discrezionalità; o infine e per noi un vero bavaglio la questione delle querele temerarie, ormai note come slapps, che di fatto impediscono una compiuta libertà di informazione, per i motivi che colleghe e colleghi hanno già illustrato.

Fin dalle premesse alla Proposta, che tengono fede all’impegno politico assunto dalla presidente von der Leyen, si insiste sull’informazione come bene pubblico “imprescindibile per una sfera civile sana, per le libertà economiche e per i diritti fondamentali, tra cui il diritto all’uguaglianza”.  Ed è su questo, in particolare l’art. 3 sui “diritti dei destinatari dei servizi dei media”, in cui si parla del diritto degli utenti alla “pluralità di notizie e contenuti di attualità”, che intendo soffermare l’attenzione. Quale uguaglianza e quale pluralità se manca il punto di vista delle donne? Le donne, giornaliste o lettrici e telespettatrici, in questa Proposta sono le grandi assenti. E lo sono nell’informazione italiana. Basta un giro d’orizzonte: nessuna direttrice nei tg generalisti della Rai e nell’emittenza privata, Mediaset, La7, Sky. Ormai solo Agnese Pini, alla guida dell’informazione del gruppo Riffeser – Nazione, Giorno, Resto del Carlino e Quotidiano Nazionale -, come direttrice di testate medio grandi della carta stampata. Di fatto, quello che viene tradito è l’art. 3 della nostra Costituzione, quello che ci vuole tutte e tutti uguali nelle possibilità: nell’informazione non è così.

Eppure le donne nell’informazione ci sono. Sugli oltre 100mila iscritti all’Ordine dei giornalisti, circa il 40 per cento è donna, e addirittura pesa su questo dato il fatto che fino a non molti anni fa la forbice tra giornaliste e giornalisti era molto ampia, mentre nelle nuove generazioni la presenza è quasi paritaria. Le giornaliste ci sono in quanto a “visibilità” in tv, inviate – molte anche di guerra – o conduttrici: ma senza potere decisionale o editoriale. Spariscono di nuovo, invece, tra le firme nelle prime pagine dei giornali, soprattutto negli editoriali. Eppure le donne competenti ci sono! E hanno un loro “punto di vista”.

Allo stesso modo le presenze femminili nei talk show o intervistate dai giornali sono sempre residuali: secondo l’ultima indagine del Global Media Monitoring Project – che è del 2020 – solo il 12% degli “esperti” sui media italiani è donna (contro il 26% del dato internazionale).

Un accenno d’obbligo, oltre al tetto di cristallo che grava sulle professioniste dell’informazione, è quello relativo ai loro redditi: secondo l’analisi sugli ultimi dati contributivi in possesso dell’Inpgi – l’istituto di previdenza dei giornalisti confluito nell’Inps nel giugno dell’anno passato – tra gli stipendi delle giornaliste e dei giornalisti c’è una forbice di circa 5mila euro, forbice che inizia ad aprirsi fin dall’inizio della carriera.  (allego i dati per chi è interessato)

E c’è un altro aspetto di cui mi preme dar conto: le giornaliste sono le prime vittime delle intimidazioni e dell’odio in rete. Contro di loro – come testimoniato dai dati di Vox, l’osservatorio sui diritti – si scatenano gli haters, con una aggressività che mette a repentaglio la stessa libertà di informare.

Ci aspettiamo dunque che nella stesura della Proposta le donne, sia come “destinatarie” che come “fornitrici” dei servizi dei media, non vengano una volta ancora dimenticate, un passo importante per prestare orecchio al loro punto di vista, per valorizzarne la professionalità e per tutelarle.

E’ questa anche la ragione per cui Vi siamo particolarmente grati per aver voluto sentire in quest’Aula anche la nostra voce.

DOMANDE E RISPOSTE

In risposta all’on Mauro Berruto, su querele temerarie e eventuale maggiore accanimento sulle giornaliste.

Si, purtroppo registriamo un vero attacco alle giornaliste nelle minacce, nell’odio social, anche nelle querele temerarie, come se fosse proprio l’essere donna nell’affrontare i temi sociali e di cronaca a non essere accettato, a scatenare la reazione anche giudiziaria. Le querele intentate solo per fermare il lavoro giornalistico – quindi non parliamo di dolo o di errore professionale – colpiscono in maniera grave soprattutto le giornaliste che non hanno alle spalle una redazione, ma svolgono la propria professione in modo autonomo, e non hanno neppure le capacità economiche per affrontare anni e anni di percorsi giudiziari.

Arrivano dal mondo dell’economia per fermare le inchieste, arrivano purtroppo – ma è cosa a voi nota – anche dalla politica come dalla magistratura, ma sono le querele senza fondamento che arrivano ormai dalle mafie e dalla criminalità a preoccupare maggiormente, perché rappresentano tanto più una limitazione al diritto di cronaca oltre che di inchiesta, una vera minaccia per la libertà di stampa.

In risposta all’on. Francesca Ghirra, a proposito delle discriminazioni delle donne nella professione giornalistica (anche in riferimento a recenti fatti di cronaca) e su come arginarle.

La discriminazione principale è quella professionale e economica: un tetto di cristallo che sembra impossibile scalfire e che vede già le giovanissime percepire redditi inferiori ai loro colleghi maschi. Ed è importante, per noi, poterne parlare anche qui. Come GiULiA giornaliste, inoltre, cerchiamo di evidenziare ogni volta che ci è possibile i casi di discriminazione e aggressione professionale, in particolare dentro i giornali e tra colleghi. Gli strumenti che abbiamo riguardano il nostro codice deontologico, e la possibilità di denunciare gli abusi presso i Consigli di disciplina degli Ordini territoriali dei giornalisti. Ma spesso è più efficace intervenire con comunicati, firmati da tutte le rappresentanze delle giornaliste, ovvero le Commissioni Pari Opportunità del Sindacato e dell’Ordine. Importante, comunque, non lasciare i casi sotto silenzio e comunque far sentire la nostra solidarietà quando le colleghe, pur attaccate, non hanno la forza di denunce pubbliche a causa della loro precarietà professionale.

In risposta all’on. Elisabetta Piccolotti, a proposito della tutela delle cittadine, con immagini di corpi di donne violate nella loro intimità, satira molto pesante, o giornalisti che apostrofano le donne con termini misogini e maschilisti, tali da ridurle a oggetto. Che tipo lavoro fa GiULiA su questo tema?

La preoccupazione sul linguaggio dei nostri media nei confronti delle donne è da oltre dieci anni (GiULiA nasce nell’autunno del 2011) al centro del nostro lavoro. Abbiamo fatto decine e decine di corsi professionali (obbligatori, per le regole del nostro Ordine) sull’uso di un linguaggio rispettoso verso le donne e che ne riconosca le eccellenze, grazie anche alla collaborazione con Università e esperte: dalla grammatica al linguaggio nello sport a – soprattutto – il linguaggio contro la violenza, anche nelle immagini. Forse siamo riuscite a sradicare alcuni “tic” e stereotipi, che erano veri automatismi nella titolazione e nella scrittura, certo non siamo soddisfatte a fronte di vere aberrazioni dei nostri media. Per noi si tratta essenzialmente di un problema culturale, di confronto, anche di discussione, ma in molti casi a non essere possibile è il proprio il confronto. Ancora una volta lo strumento diventa per noi quello della denuncia della cattiva informazione attraverso i comunicati (anche firmati con le Cpo del Sindacato e dell’Ordine) e quella più formale ai Consigli di Disciplina, per le violazioni deontologiche (in particolare l’art. 5 bis della nostra Carta dei Doveri). Ma è molto importante anche il coinvolgimento di lettrici e lettori, telespettatrici e telespettatori, che non ci lascino sole in queste denunce. Tanto più rilevante, dunque, l’attenzione del Parlamento.

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