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Pechino tradita? Si, dalle istituzioni italiane

Nel marzo del 2020 nella sede delle Nazioni Unite a New York, la celebrazione della Conferenza a 25 anni di distanza, con la valutazione di quanto è stato fatto nei diversi Paesi. [Di Daniela Colombo]

Pechino tradita? Si, dalle istituzioni italiane
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Daniela Colombo Modifica articolo

7 Febbraio 2020 - 23.18


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Nel settembre del 1995 a Pechino si svolse la quarta Conferenza internazionale sulle donne delle Nazioni Unite, che vide la partecipazione di 15.000 donne politiche, diplomatiche ed esperte, mentre nella vicina Huairou 38.000 donne appartenenti a una moltitudine di organizzazioni di ogni parte del mondo, davano vita a un Forum della società civile quale non si è più visto e che molto probabilmente non si vedrà per vari anni ancora. La Conferenza di Pechino è rimasta nel ricordo e nell’immaginario delle militanti femministe e delle rappresentanti del movimento internazionale delle donne come il fulcro delle attività iniziate nel 1975 con la Conferenza di Città del Messico per raggiungere l’eguaglianza dei diritti tra donne e uomini, far sì che donne possano contribuire allo sviluppo dei propri Paesi e siano portatrici di pace.

Dopo la Conferenza di Città del Messico, altre due conferenze vennero organizzate dalle Nazioni Unite: nel 1980 a Copenaghen per dibattere i temi dell’Eguaglianza di diritti, e nel 1985 a Nairobi per discutere più ampiamente dei temi relativi allo sviluppo socio economico dei Paesi in via di sviluppo. A Copenaghen la firma del Governo italiano fu determinante per l’entrata in vigore della CEDAW, la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, che costituisce ancora oggi la più importante carta internazionale dei Diritti delle donne, stabilendo gli standard di uguaglianza di diritti a cui fanno riferimento le organizzazioni femministe e femminili.

Alla Conferenza di Pechino gli Stati membri dell’ONU approvarono all’unanimità una Dichiarazione e una Piattaforma di Azione consistente in 12 Aree critiche di azione che coprono l’intera gamma dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere che ogni Stato dovrebbe seguire, attribuendo alla società civile e alle organizzazioni delle donne in modo particolare un ruolo estremamente importante nell’elaborazione delle politiche e delle leggi sulle relazioni di genere, auspicando misure di azione positiva e l’istituzione o il rafforzamento dei meccanismi di parità.

Nuovi termini – in inglese e di difficile traduzione – vennero coniati al fine di avere un linguaggio comune per indicare:

1) il fatto che le donne sono discriminate rispetto agli uomini indipendentemente dall’etnia, casta, status sociale, religione, età, residenza (gender); 2) la necessità di stimolare la forza, l’autostima, la volontà di agire delle donne (empowerment); 3) l’inclusione di politiche e attività a favore delle donne in tutti i settori economici, sociali e ambientali (mainstreaming).

Vorrei ricordare che negli anni ’90 ci furono altri importanti appuntamenti per il movimento delle donne. Nel 1992 la Conferenza di Rio sull’Ambiente per la prima volta aveva riconosciuto il ruolo fondamentale delle donne per la salvaguardia dell’ambiente. Nel 1993 la Conferenza di Vienna sui Diritti Umani aveva affermato esplicitamente nella Dichiarazione conclusiva che “I diritti umani delle donne e delle ragazze sono un’inalienabile, integrale ed indivisibile parte dei diritti umani universali”, da cui scaturisce il riconoscimento che le forme specifiche di violenza contro le donne come violazione dei loro diritti umani. Nel 1994 la Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo si era conclusa con un Piano di Azione dettagliato sulla salute sessuale e riproduttiva, al quale era allegato un’analisi dei finanziamenti necessari per raggiungere gli obiettivi fissati.

Nel 1998 si svolsero a Roma i lavori per l’istituzione della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra, in cui si riconobbe che le violenze di massa e sistematiche, come lo stupro etnico, la gravidanza forzata e la tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale sono un’arma di guerra da perseguire penalmente. Nel 2000 il Consiglio di Sicurezza approvò la prima Risoluzione su Donne, Pace e Sicurezza, la Risoluzione N.1325, nella quale si riconosceva l’impatto sproporzionato ed unico dei conflitti armati sulle donne e le ragazze e si richiedeva l’adozione di una prospettiva di genere che tenesse conto dei bisogni speciali di donne e ragazze durante i conflitti, la fase di rimpatrio, riabilitazione, reintegrazione e ricostruzione post conflitto. La Risoluzione richiedeva inoltre che le donne partecipassero nei negoziati di pace.

Nel 2001 entrò in vigore un Protocollo opzionale alla CEDAW che consente ad Associazioni e a individui di denunciare le violazioni esistenti nei diversi Stati alla apposita Commissione abilitata a condurre indagini sul caso e a formulare raccomandazioni al governo responsabile.

Tutto questo fu possibile perché gli anni ’90 furono un periodo storico particolare in cui erano nate grandi speranze. Era crollato il muro di Berlino: in pochissimi anni si era dissolta l’Unione sovietica e sembrava che la Russia stesse cercando una modalità democratica di governo. La fine dell’apartheid in Sud Africa aveva aperto nuove possibilità per tutto il continente africano. L’America Latina era in una fase di grande trasformazione e la maggioranza dei paesi si andava aprendo alla democrazia. In Medio Oriente e nel Nord Africa c’era una relativa stabilità, con regimi dittatoriali che però garantivano un certo livello di eguaglianza e l’esistenza di importanti organizzazioni di donne a livello nazionale. In Asia, la Cina si apriva al mondo, ospitando la più grande Conferenza delle Donne che si fosse mai vista, e il Giappone iniziava programmi concreti e creava Centri governativi allo scopo di emancipare le donne. Il Presidente degli Stati Uniti era il democratico Bill Clinton, la cui moglie, Hillary, visitò il Forum di Huairou e fece un discorso estremamente forte che rimarrà nella storia del movimento femminista e femminile.

Questo clima internazionale di speranza venne però a cessare con l’attacco alle torri gemelle e la guerra in Iraq. Il mondo negli ultimi venti anni è cambiato significativamente e il compito che spetta alla società civile e in modo particolare alle organizzazioni femministe e femminili è molto più arduo. Conflitti armati, rivoluzioni fallite, crisi economiche e finanziarie ricorrenti e sempre più gravi diminuiscono la crescita e aumentano la disoccupazione, prezzi del cibo che cambiano repentinamente, disastri naturali e l’effetto del gas serra che determina il riscaldamento globale e il cambiamento climatico, hanno aumentato la disuguaglianza e la vulnerabilità con conseguenti ondate di migrazioni.

La globalizzazione finanziaria, la liberalizzazione del commercio seguita da improvvise imposizioni di sanzioni da parte di alcuni Stati, la privatizzazione dei servizi pubblici (in modo particolare la sanità), la crescente interferenza delle società globalizzate nei processi di sviluppo, hanno mutato le relazioni di potere tra gli Stati e all’interno degli Stati, con un effetto particolarmente negativo sul godimento dei diritti umani e la creazione di un mondo più giusto.

Il mondo oggi è molto più ricco, ma molto più iniquo di quanto lo sia mai stato dal tempo della seconda guerra mondiale. Una società internazionale, Capgemini &RBC Wealth Management, pubblica ogni anno un rapporto sulla ricchezza globale. Siamo arrivate/i al punto che una ricchezza enorme si concentra nelle mani di pochissimi individui che hanno di conseguenza un potere enorme e un impatto sproporzionato sulle politiche, sugli investimenti e l’economia in generale. E certamente non serve che tacitino la loro coscienza creando Fondazioni “benefiche” che finanziano progetti di organismi delle Nazioni Unite o di Organizzazioni non governative multinazionali di origine americana o europea, per giunta concentrate in un numero ristretto di Paesi.

L’ambiente politico globalmente è diventato molto più reazionario e si è assistito ad un deficit di democrazia che va aumentando. I vari Trump, Putin, Bolsanaro, Modi, Duterte… usano la misoginia e l’oppressione delle minoranze e degli/lle immigrati/e per consolidare il loro potere.

Con la conseguenza che i governi, soprattutto negli ultimi 10 anni, si sono rifiutati di raggiungere compromessi e di trovare un accordo per fare avanzare l’agenda femminista soprattutto durante le sessioni annuali della Commission on the Status of Women, che è il principale organismo politico a livello internazionale. E il movimento femminista si è dovuto mettere sulla difensiva, preferendo mantenere il linguaggio di Pechino e le 12 Aree di Azione della Piattaforma, senza cercare di andare oltre.

Per tutti questi motivi, quando nel 2013 si cominciò a lavorare sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, il movimento internazionale delle donne composto da reti di associazioni femministe e femminili e alcune Ong di cooperazione allo sviluppo, si è impegnato moltissimo e l’Agenda 2030 ha di fatto conglobato il Programma d’Azione di Pechino con tutte le sue novità, dandogli una forma diversa, con un Obiettivo specifico, il Goal 5, per l’Uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne e rafforzando il Mainstreaming negli altri 16 obiettivi.

 

Pechino + 25

Nel marzo del 2020 nella sede delle Nazioni Unite a New York, nell’ambito della 64a Sessione della Commission on the Status of Women, alcune giornate verranno dedicate alla celebrazione della Conferenza di Pechino a 25 anni di distanza, cercando di fare il punto della condizione delle donne nei vari Paesi del mondo. “Pechino + 25” non sarà dunque una nuova Conferenza ma un appuntamento di valutazione di quanto è stato fatto, di quello che le donne hanno raggiunto negli ultimi 25 anni e le prospettive per il futuro.

L’appuntamento seguente sarà la High level week della 74a Assemblea Generale dell’ONU che avrà luogo dal 23 al 26 settembre. In preparazione di questo appuntamento sarà organizzato il Generation Equality Forum che si svolgerà in due sessioni, una a Città del Messico a maggio (con una partecipazione di circa 2.500 persone) e l’altra a Parigi in luglio (con una partecipazione di circa 5.000 persone), organizzate da UNWOMEN, in collaborazione e in partenariato con la società civile e i due Stati che ospiteranno gli eventi.

In preparazione degli eventi Pechino + 25, le 5 Commissioni economiche delle Nazioni Unite per le varie Regioni hanno già organizzato tra ottobre e novembre i Regional Review Meetings, preceduti da Fora della società civile.

Il Regional Review Meeting dell’UNECE, la Commissione Economica per l’Europa che comprende anche i Paesi dell’ex Unione Sovietica, Canada, Stati Uniti e Israele, ha avuto luogo a Ginevra, presso la sede delle Nazioni Unite, il 29-30 ottobre 2019.

Il RRM dell’UNECE è stato preceduto dal Forum della società civile il 28 ottobre. A quest’ultimo erano presenti più di 400 attiviste provenienti da 48 paesi della Regione e si è lavorato in gruppi di lavoro per raggiungere un accordo e finalizzare i Fact sheets sui quali si era lavorato tramite internet nei tre mesi precedenti al Forum, identificando le priorità e preparando dichiarazioni secondo le prospettive regionali (6 schede) e tematiche (20 fact sheets), che non hanno valore di documenti negoziati, ma servono a dare una idea delle priorità e delle diverse opinioni del movimento delle donne e femminista della Regione UNECE.

Si è dibattuto molto sui nuovi problemi e le sfide strutturali, l’ambiente, il neo conservatorismo, le barriere economiche strutturali per la realizzazione dei diritti delle donne, la violenza contro le donne e le ragazze, la partecipazione politica delle donne, i sistemi di tassazione, le donne nei media e nell’accesso alla tecnologia.

Sono emersi nuovi concetti, come la definizione di Non State torture per alcune tipologie di violenza contro le donne, il tema della Inclusion (le giovani femministe, i diritti delle Lesbiche, Bisex, Transessuali/ Transgender e Intersex – l’acronimo LBTI invece di LGBTI, quindi non comprende più i gay – i diritti delle donne con disabilità, i diritti delle popolazioni indigene e i Rom, l’empowerment delle donne rurali, i diritti delle donne anziane, i diritti delle vedove), e la differenza tra Prostitution e Sex work. Su questo ultimo tema si è verificata l’unica rottura da parte di alcune organizzazioni facenti parte della European Women’s Lobby, che auspicano che la legislazione degli Stati membri dell’UE si adegui a quella svedese rendendo illegale la prostituzione.

Durante il Forum si sono definite le aree su cui è necessario concentrarsi e come influire sul processo Pechino + 25: trasparenza e monitoraggio, violenza contro le donne, salute e diritti sessuali e riproduttivi, pace e sicurezza, le donne sfollate, le donne migranti, i movimenti dei lavoratori, i sindacati, l’istruzione, il trasferimento di conoscenze e l’accesso delle donne alle tecnologie, la corporate & institutional accountability e il problema cruciale delle risorse disponibili e del finanziamento delle organizzazioni delle donne.

Al Regional Review Meeting erano presenti 867 partecipanti, 47 Delegazioni governative, 8 Ministre o Vice Ministre, 81 organizzazioni rappresentanti della società civile, aventi consultative status presso l’Ecosoc. Sono stati organizzati 10 Side Events. Francia, Canada, e i Paesi del Nord Europa hanno fatto la parte del leone, ma anche i Paesi dell’Ex Unione Sovietica sono stati presenti attivamente.

Grande apertura alla società civile è stata data non solo da UN- WOMEN ma anche da molte delle Delegazioni, tanto che l’incontro intergovernativo è stato aperto dall’intervento della Rappresentante delle Giovani femministe che ha riassunto i lavori e le proposte del Forum della società civile.

Dagli Stati membri dell’ECE sono stati inviati 51 Rapporti nazionali, 48 dei quali sono serviti per redigere un Rapporto di sintesi: Regional review of Progress: Regional Synthesis. Da questo si desume che i Paesi della Regione hanno dato priorità a tre aree principali: la violenza contro le donne, l’empowerment economico delle donne e la loro partecipazione politica. La violenza contro le donne ha avuto un grande impulso dalla Convenzione di Istanbul che è stata firmata o ratificata dalla maggioranza dei Paesi membri del Consiglio d’Europa e dell’ECE. L’Empowerment economico delle donne è una priorità in tutta la Regione e sforzi notevoli ci sono stati per sostenere l’inclusione delle donne nella forza lavoro tramite la conciliazione lavoro e responsabilità familiari, e affrontando il gap salariale.

Alcuni Paesi si sono avvicinati alla parità nella partecipazione politica delle donne a livello nazionale, applicando spesso il sistema delle quote. Molti Paesi hanno affrontato la segregazione orizzontale nell’istruzione, cercando di promuovere la partecipazione delle ragazze nei campi della scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM). Alcuni Paesi, come la Danimarca, il Belgio, la Svezia e la Finlandia hanno ottenuto ottimi risultati migliorando il gender mainstreaming e applicando strumenti speciali come misure di azione positiva temporanee, il bilancio di genere e l’analisi intersettoriale.

Uno dei settori nei quali non si è progredito è stato quello della protezione ambientale e del cambiamento climatico. Solo alcuni Paesi hanno iniziato ad avere una legislazione progredita in questi settori e ci sono pochi esempi di leadership delle donne.

Per quanto riguarda la violenza contro le donne è ancora difficile implementare standard riconosciuti a livello internazionale per la protezione, la risposta e l’accesso ai servizi e alla giustizia per le donne che hanno subito violenza. Anche nella Regione ECE, la più avanzata del mondo, persistono atteggiamenti patriarcali e norme sociali tradizionali che impediscono l’applicazione di un approccio centrato sulle vittime. Un altro elemento di frenata per l’eguaglianza di genere è la debolezza intrinseca ai meccanismi di parità che molto spesso non dispongono delle risorse umane ed economiche necessarie.

“25” anni dopo la Conferenza di Pechino, che tanto entusiasmo e speranze aveva suscitato, non si è dunque raggiunta la piena eguaglianza di diritti tra donne e uomini in nessun paese della Regione ECE.

 

E l’Italia?

Poche le organizzazioni italiane presenti al Forum della società civile e come osservatrici alla Riunione Intergovernativa: D.I.Re, CGIL, Soroptimist, Zonta, Pangea e Pari o Dispare. Invece nessun/a rappresentante del Governo italiano era presente alla Riunione inter- governativa. Sullo scranno dell’Italia a turno si sono sedute un paio di stagiste presso la Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite di Ginevra. Si è in seguito venute a conoscenza che la Ministra Bonetti non era stata informata dallo staff amministrativo di questo evento internazionale.

Il Rapporto del Governo italiano si trova in lingua inglese sul sito di UNECE. Non esiste il testo in italiano. A parte il fatto di essere stato inviato il 14 di agosto invece del 1° maggio, si tratta di un collage di documenti scritti dai vari Ministeri che lascia molto a desiderare, senza una vera riflessione su quanto è stato fatto (mancanza di monitoraggio e valutazione) e soprattutto su quanto si prevede di fare. Nelle linee guida di UNWOMEN per la redazione dei Rapporti nazionali era previsto chiaramente che i Governi avrebbero dovuto coinvolgere le organizzazioni portatrici di interesse e avrebbero dovuto avviare una campagna di informazione su quello che ha rappresentato la conferenza di Pechino per il movimento delle donne e per le istituzioni e sul processo Pechino + 25. Anche questo non è stato fatto e i media di conseguenza non si sono minimamente occupati dell’evento.

Vogliamo dunque parlare di Pechino tradita? Certamente dalle istituzioni italiane!

Il compito che spetta alla società civile è arduo, soprattutto perché si deve recuperare il tempo perduto. Difficilmente si riuscirà a fare uno Shadow Report sull’Italia. Ma potremmo chiedere al Governo di prendere seriamente Pechino + 25 e informare noi stesse l’opinione pubblica. Il movimento internazionale è molto attivo e alla CSW64 come ai due incontri del Generation Equality Forum presenteranno le loro valutazioni e le loro proposte.

Nonostante moltissimo rimanga da fare affinché il rispetto dei diritti umani, ivi compresi i diritti umani delle donne, divenga realtà in tutti i paesi del mondo, l’elaborazione tramite trattati internazionali concernenti standard di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e il loro monitoraggio, ha fornito e continua a fornire alle organizzazioni delle donne strumenti e linguaggi per rivendicare anche a livello nazionale il soddisfacimento dei bisogni, della dignità e della libertà di scelta delle donne. Partecipare a eventi come Pechino + 25, o seguirne il processo con l’aiuto di internet, ci permetterà come si è fatto in passato di connetterci con le organizzazioni di donne a livello internazionale, valutare quanto si è ottenuto a livello nazionale e regionale, scambiare esperienze positive, dibattere nuovi concetti, trarre ispirazione e progettare per il futuro.

 

 

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