Quattro giornaliste si sono confrontate chiedendosi se esista o meno un “punto di vista femminile”: Giovanna Pezzuoli prima al Giorno e poi vicecaporedattrice al Corriere della Sera, Silvia Brena già caporedattrice di riviste e ora docente universitaria (e cofondatrice di Vox Diritti), Camilla Gaiaschi passata da un’agenzia di stampa internazionale alla carriera accademica (Statale di Milano), Marina Cosi qui in veste di coordinatrice.
Più esattamente la domanda era se vi sia un modo femminile di raccontare oppure ci sia solo un modo corretto di raccontare senza far emergere pregiudizi, anche latenti. Sarà vero che le giornaliste, come le scrittrici, hanno uno sguardo sulla realtà più sintonico, più inclusivo, meno discriminante, più attento alle relazioni? Oppure è una versione contemporanea dell’antico criterio di separatezza?
I numerosi esempi nelle diverse testate, ma anche la nascita di approfondimenti nei principali quotidiani, come La 27esimaOra del Corriere della Sera o Halley Oop del Sole24Ore, sono luoghi di riflessione critica: critica talora anche nei confronti della testata principale.
Reale o costruita che sia, questa capacità narrativa coinvolgente ed empatica è tuttavia sempre più richiesta dalle piattaforme multimediali, che cercano contenuti “sceneggiabili”. L’esperienza della rubrica quotidiana del NYTimes e i casi italiani.