Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Domani, Il Giornale, Il Manifesto, Il Messaggero, Il Fatto quotidiano, Avvenire, Libero, La Verità, La Gazzetta dello Sport, Tutto Sport, Corriere dello sport e uno sguardo al web
Settimana dal 7 settembre al 12 aprile
Firme in prima pagina: 989 uomini, 277 donne
Editoriali e commenti:140 uomini e 26 donne
Interviste: 292 uomini e 63 donne
In questa settimana in cui è successo di tutto a livello globale tra dazi e contro dazi e “dazi amari” per citare un meme molto popolare sui social, la nostra rassegna sarà, purtroppo, molto concentrata sulle notizie che riguardano la violenza sui corpi delle donne, che hanno dominato le pagine dei giornali e non solo. Restando ancora un attimo sul fronte geopolitico e alla guerra commerciale tra Trump e il resto del mondo, un fatto notevole è che nelle paginate dedicate al tema, dove tra i protagonisti abbiamo anche tre donne di punta, Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde, molto fotografate, tra le decine di interviste ad esperti, imprenditori, finanzieri, politici sul tema, le donne sono pochissime, così come i commenti. Le guerre, anche quelle commerciali, sono a quanto pare affare maschile. Tra le eccezioni un paio di imprenditrici, Henna Virkkunen, commissaria europea alla sovranità tecnologica, l’economista Mariana Mazzuccato e quella che viene indicata come il jolly che ha fatto cambiare idea a Trump, facendogli sospendere i dazi per 90 giorni. E’ Repubblica a intervistare la presidente della Svizzera Karin Keller Sutter, che non si sbottona molto ma di fatto lei è l’ultima con ha parlato Trump prima del dietrofront. «Gli ho spiegato bene tutto», compreso il fatto che i dazi al 31% avrebbero colpito l’industria orologiera, ossia i Rolex che tanto piacciono ai ricconi americani. Per restare in area Maga il Corriere ci fa sapere che sono già quattro le donne in posizione apicale rimosse dalle forze armate, l’ultima è l’ammiraglia Shoshana Chatfield. In tutto sono stati rimossi 9 alti ufficiali ma salta all’occhio l’alto numero di donne, detto che ai vertici sono solo il 10% per cento e secondo la Reuters c’entra la campagna contro l’inclusione e la diversità nelle forse armate avviata da Trump.
Femminicidi
Ma come dicevamo è la settimana in cui si sono accavallati i seguiti dei delitti di Ilaria Sula e Sara Campanella, le motivazioni della sentenza di condanna di Filippo Turetta, la semilbertà ad Alberto Stasi, in carcere per l’omiciiod di Chiara Poggi, l’incriminazione del marito di Liliana Resinovich, la richiesta di ergastolo per tutti e quattro i parenti di Samman Abbas, un omicidio suicidio di due anziani, lui ha ucciso lei malata, la richiesta di archiviazione per La Russa Jr e molto altro. Partiamo però da una delle notizie più sconcertanti svelata dal lavoro di inchiesta di Elisa Sola sulla Stampa che ha raccontato in diverse puntate una vicenda verificatasi a Vercelli: ragazzine tra i 13 e i 14 anni abusate da un 35enne su cui si indaga dal 2021 ma solo adesso, forse, grazie al coraggio delle amiche di una ragazzina drogata e violentata e con il sostegno della scuola, le indagini sembrano aver subito un accelerata. Un caso con molti lati oscuri ma uno molto chiaro: il pregiudizio che si può leggere in alcuni verbali della polizia dove si parla di “ragazze dissolute” con rapporti promiscui e incapaci “di tener conto della conseguenza delle loro azioni scellerate”, quindi poco affidabili. Parliamo di bambine di 13 anni, adescate fuori dalla scuola o su TikTok. In una delle varie inchieste aperte (in tutto 3) il pm aveva archiviato perché la minore terrorizzata non avrebbe denunciato e poi non ci sarebbe stata “abitualità” nella violenza. Cioè la ragazza non veniva abusata abitualmente (sic).
Proprio il linguaggio della magistratura è stato al centro del dibattito molto acceso sulle motivazioni della sentenza su Filippo Turetta, che è stato condannato all’ergastolo con l’aggravante della premeditazione ma non dello stalking (Giulia Cecchettin non aveva paura di lui) e della crudeltà, nonostante le 75 coltellate e i 20 minuti di agonia. Punto centrale il fatto che lo scempio sarebbe stato non intenzionale ma dovuto a “incompetenza”. Molte le reazioni tra l’incredulo e l’indignato, a cominciare da quella della sorella di Giulia, Elena. Ma citiamo anche Elena Loewenthal sulla Stampa, Conchita De Gregorio su Repubblica, Stefano Zurlo sul Giornale che ricorda come «gli esperti di femminicidi in questi casi parlino di overkilling : la volontà di cancellare quella persona, di eliminarne l’identità, colpendola con un numero spropositato di colpi». L’avvocata Giulia Bongiorno intervistata dal Corriere si chiede se quindi la crudeltà sarebbe attribuibile solo ai killer di professione. Col passare dei giorni emerge che la sentenza comunque rappresenta un’analisi molto avanzata del fenomeno del femminicidio, riconosciuto nelle sue dinamiche di sopraffazione e negazione dell’autodeterminazione della donna, come sottolineano Ileana Boiani, avvocata di Differenza Donna sul Domani e Luigi Manconi su Repubblica, e che il concetto giuridico di crudeltà ha un significato diverso dal senso comune. Sul Messaggero il magistrato Ciro Cascone, per vent’anni ai vertici del Tribunale dei minori di Milano, ammette però che sulle parole si può fare di più: «Il linguaggio con cui si trattano queste tematiche è fondamentale. Negli anni sono stati fatti molti passi in avanti, ma si può fare ancora molto». In ogni caso i legali della famiglia Cecchettin stanno valutando un possibile ricorso.
Tra le notizie collaterali la scritta “Viva Turetta” comparsa in un liceo di Barletta, indicato come idolo tra i giovani della machosfera, così ben descritta dal serie Adolescence. La buona notizia è che gli studenti hanno protestato. Ma la polizia postale, ci informa il Messaggero, ha aperto un’indagine sulle chat dove sono state insultate pesantemente le due ragazze vittime di femminicidio, Ilaria Sula e Sara Campanella con neologismi misogini come “ipergamatrice”, ossia una donna che vuole un partner superiore, insulti moltiplicatisi dopo che è stata resa nota la frase di Sara «Mi amo troppo per stare con chiunque». Da segnalare sul tema l’inchiesta sotto copertura di Fanpage sul mondo della comunità misogina Black Pill.
Sulla violenza di genere digitale interviene Stefania Proietti, presidente di centrosinistra della Regione Umbria che annuncia la presentazione alla polizia postale di una denuncia per le accuse, le minacce e le ingiurie anche di natura sessista contro la sua persona e l’istituzione che rappresenta. «Se questo è il prezzo che una donna deve pagare per il solo fatto di esporsi, di metterci la faccia ,di avere idee allora c’è un problema: questo tipo di linguaggio non è mai stato usato contro colleghi uomini: perché accade ora?». Una riflessione condivisa da Federica Pellegrini che intervistata da Repubblica parla della sua esperienza a Ballando con le stelle: entusiasmante ma la parte dura sono state gli insulti degli hater sui social. «Confesso che mi sono chiesta se ne valesse la pena, mi hanno fatto anche dubitare di me, a tratti, e dire che io ho le spalle larghe. Ho pensato piuttosto al’effetto che questa violenza può avere sulle ragazzine».
Nei due delitti di Sula e Campanella un ruolo fondamentale avrebbero avuto le madri degli assassini rei confessi nell’aiutare i figli. Su Avvenire Mariolina Ceriotti Migliarese firma un editoriale in cui scrive: «La mascolinità tossica deriva anche dalla relazione con la madre, un nodo cruciale che ha conseguenze sulla vita sessuale e affettiva dei maschi. Le madri devono favorire il distacco da sé, accettare di essere marginalizzate», mentre Elvira Serra sul Corriere si chiede: «Ancora femminicidi, dove sono i padri?».
Il Fatto ci informa che il 19 aprile a Caltagirone sfilerà una carovana di soli maschi contro i femminicidi promossa dall’avvocato Luca Cutrera. Mentre il filosofo del diritto Francescomaria Tedesco ragiona sul fatto che il patriarcato vada ” smontato” anche tra le donne: « L’ educazione delle femmine pare riguardi solo i mezzi per difendersi. E invece la violenza sulle donne inizia quando le si obbliga ad accettare la visione patriarcale del mondo. Può anche darsi che le donne non denuncino perché non solo la società e il diritto non le inducono a farlo ma anche perché condividono coattamente l’ ordine simbolico maschile».
La settimana vede anche un tentato femminicidio sventato ai danni di una giovane madre di Pozzuoli da parte dell’ex che con due complici l’ha picchiata e ha cercato di buttarla da una balconata. Intervistata dal Giornale Gaia (tutti i giornali la chiamano solo con il nome) si dice convinta che prima o poi l’ex l’ammazzerà. Le sue parole sono un manuale della dinamica dell’abuso: «Durante i primi mesi di gravidanza avevo pensato di rimanere con lui per dare una famiglia a mio figlio. Però tutti i giorni mi torturava, era geloso. Mi ossessionava. Avrei potuto persino potuto sopportare le botte ma le violenze psicologiche no, rischiavo di impazzire. Così me ne sono andata».
Tra le altre notizie della settimana la richiesta di archiviazione per l’accusa di stupro di gruppo nei confronti di Leonardo Apache La Russa e di Tommaso Gilardoni, mentre resta in piedi l’accusa di revenge porn. Interessante il corto circuito per cui i giudici si sono convinti che la ragazza pur non ricordandosi niente poteva apparire lucida dopo aver visionato i video per i quali hanno chiesto il rinvio a giudizio. Segnaliamo l’articolo di Pietro Senaldi su Libero tutto centrato sul respiro di sollievo della famiglia La Russa per il “cucciolo di casa”(sic): si parla di «una vicenda cavalcata dalla stampa per colpire con il presidente tutta la destra». Con un’illazione pesantissima: «La sensazione è che se il giovane fosse stato figlio di un cittadino anonimo, forse neppure sarebbe arrivata la denuncia nei suoi confronti». E a proposito del revenge porn si insiste proprio sul fatto che la ragazza non ricorda nulla «e quindi neppure di aver negato il consenso». Suggestivo. Si sorvola invece sulla circostanza che nella richiesta dei pm, che comunque potrebbe anche non essere accolta, quello che emerge è un comportamento «connotato di profonda superficialità e volgarità nella modalità di concepire e trattare una ragazza». Il padre della ragazza intervistato dal Corriere fa sapere che si opporrà all’archiviazione dell’accusa di stupro e denuncia che la figlia è stata abbandonata da tutta la Milano bene che frequentava, tanto che ora vive all’estero.
Su un cold case tornato di attualità, il delitto di Chiara Poggi, segnaliamo la riflessione di Selvaggia Lucarelli sul Fatto a proposito della spettacolarizzazione mediatica della cronaca nera e della vittimizzazione attuata dalla stampa sul nuovo indagato, Andrea Sempio, contro cui secondo lei ci sono pochi elementi «ma lui è già il candidato perfetto alla mostrificazione mediatica». Lucarelli cita la Repubblica che titola «parla poco, è un tipo strano» e aggiunge frasi raccolte da conoscenti per cui «a volte ti fissa poi distoglie lo sguardo». Insomma, un assassino.
Chiudiamo questo capitolo con la ricerca dell’Osservatorio Step a cui collabora anche GiULiA citata dal Corriere, da Qn e da Alleyoop nella quale si dà conto di qualche miglioramento nella narrazione mediatica della violenza di genere nel 2024 e che proprio nell’omicidio Cecchettin indica un punto di svolta.
Diritti
Una notizia bollente è stata la sentenza della Cassazione, anticipata dal Sole 24 ore e poi ripresa da tutti i giornali, che ha respinto l’ennesimo ricorso del ministero degli Interni per l’obbligo della dicitura padre e madre sulla carta di identità elettronica perché discriminatorio nei confronti delle altre famiglie. Si ritorna così a “genitore” come era fino al 2019, grazie ad una modifica introdotta dal governo Renzi nel 2015. Repubblica intervista la coppia di donne che ha fatto partire i ricorsi: «Avremmo dovuto firmare un falso lasciando padre e madre». La cosa buona, dicono è che se la burocrazia e la politica resistono, la società è più accogliente. Avvenire la vede in modo diverso: il vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta ha definito la sentenza «una decisione innaturale e irrazionale, una forzatura di tipo ideologico e ora anche giuridico».
Grande scalpore la notizia dell’introduzione da parte dell’Istat del codice Ateco anche per la prostituzione. Il tema è complesso. Linda Laura Sabbadini su Repubblica spiega che non si legalizza la prostituzione ma semplicemente si acquisisce una classificazione europea che potrà essere usata nel caso in cui quelle attività diventino legali, come già avviene in altri paesi. Un fatto burocratico insomma. Utile il servizio di Avvenire che spiega come in Europa ci siano quattri approcci: proibizionista ( sanziona sia il cliente sia chi si prostituisce: solo la Lituania), modello svedese (colpisce solo il cliente), abolizionista (non è vietata ma punisce il favoreggiamento: Italia Spagna Polonia GB) , regolamentarista (è legale e disciplinata da norme specifiche: Germania, Olanda, Austria). Se tutti i lavoratori e le lavoratrici del sesso si mettessero in regola, secondo gli analisti, l’incasso per lo Stato sarebbe di 4,7 miliardi. Giuristi e attivisti sono divisi, con la destra che legge la novità come una leva per riaprire le case chiuse, vecchio cavallo di battaglia. Anita Gariboldi, ex sex worker, dice a Repubblica che prima di pensare alle tasse lo stato dovrebbe tutelare i diritti «mentre oggi siamo marginalizzate e perseguitate».
Sui diritti un’altra novità importante riguarda la decisione del Dap (Dipartimento polizia penitenziaria) di concedere colloqui intimi dietro le sbarre, facendo seguito ad un pronunciamento della Consulta. Ad usufruire di questo tipo di incontri saranno solo il coniuge o la persona stabilmente convivente con il detenuto o la detenuta, anche più di una volta al mese. Sarà possibile per ora solo a Brescia, Trento, Civitavecchia, Bologna, Secondigliano, Sollicciano. Alla fine però saranno ammessi solo 32 carceri su 189.
Ma mentre in galera si guadagna un diritto se ne perde un altro: come sottolinea Giulia Melano sul Manifesto nel pezzo intitolato “Detenute madri, non c’è limite al peggio”. Il testo del nuovo decreto sicurezza prevede la cancellazione dell’obbligo del rinvio della pena per le detenute incinte o con figli minori a un anno di età. Un obbrobrio del diritto.
Sport
La settimana ha visto molte volte nei nostri monitoraggi la dicitura zero sport femminile. Salvo quando la nazionale di calcio ha battuto la Danimarca 3 a 0, ma ristretta in articoli minuscoli o poco più che brevi, qualcosa sul volley, notiziole sull’uscita della Brignone dall’ospedale. Si è però guadagnata la sovratestata della Gazzetta dello sport la notizia che le prossime Olimpiadi di Los Angeles nel 2028 vedranno in gara più donne che uomini (5333 su 5167). A tre mesi dall’elezione dell’olimpionica del nuoto e ministra dello sport in Zimbabwe Kirsty Coventry a capo del Cio si rompe un altro tetto di cristallo grazie soprattutto al calcio, che schiererà in quella occasione 16 nazionali nel femminile contro le 12 del maschile. Sempre la Gazzetta intervista Diana Bianchedi, due volte campionessa olimpica di fioretto, laureata in medicina, sposata con due figli, che si dice pronta per concorrere alla presidenza del Coni ma «mi dispiacerebbe essere scelta perché donna, non ho nessuno merito per essere una femmina mentre per quegli ori ho faticato tanto».
Natalità
Non si fanno più figli anche perché non si vogliono fare, non solo perché non si può: lo racconta su Avvenire un editoriale di Massimo Calvi centrato sul Nord Europa: in Norvegia il numero medio di figli per donna è 1,4, in Finlandia 1,25, tanto che il governo finlandese ha varato un gruppo di lavoro per sostenere la natalità. Una ricerca appena diffusa da Population and Developement Review, indaga «il paradossale declino accelerato della natalità nei paesi con la più alta parità di genere al mondo». Secondo lo studio chi crede nella parità dei ruoli oggi ha meno intenzione di avere figli (probabilità 26%), chi sostiene una netta distinzione dei compiti uomo/donna ha più voglia di diventare genitore (35%). La spiegazione del fenomeno, scrive Calvi, rimanda all’evoluzione culturale delle nostre società: «Le persone che condividono i valori delle società contemporanee, tra i quali la parità di genere, guardano alla formazione di una famiglia con a uno degli ormai molteplici obiettivi della vita».
Altre notizie
Su quasi tutti i giornali si dà rilievo al fatto che ai David di Donatello per la prima volta (non era mai avvenuto) tre donne ( Francesca Comencini, Valeria Golino e Maura Delpero) sono candidate nelle due categorie più prestigiose: miglior film e migliore regia. Evviva.
Grazie ad Avvenire poi apprendiamo la storia di “Adelasia, la prima medica condotta che tenne testa anche al fascismo”. Nel pezzo di Gianni Santamaria si parla del libro “Del coraggio e della passione“, Franco Angeli, scritto dalla storica della medicina Eugenia Tognotti, dell’università di Sassari. E’ la biografia di Adelasia Cocco, sassarese cresciuta a Nuoro, classe 1885, che riuscì nel 1914 in Barbagia a diventare la prima medica condotta d’Italia, unica donna su 11.500 maschi. E a proposito di medicina il Messaggero presenta un rapporto con la classificazione delle malattie che colpiscono in prevalenza le donne, dalle patologie reumatiche dove le donne sono tre volte più colpite degli uomini alla depressione , dove le donne colpite sono il doppio degli uomini. Si parla anche di fibromialgia che conta 20 milioni di pazienti, il 90 per cento sono donne.
Tra le notizie clou il “matrimonio“ tra Miuccia Prada e Donatella Versace, ovvero Bertelli si è comprato Versace, con giubilo di tutti i giornali perché così il marchio finora di proprietà americana, torna in Italia. Su Repubblica un ritratto di Brunella Giovara delle due signore della moda italiana agli opposti nello stile. Nasce così Pradace o Versada, come scrive Emanuele Farneti, che sottolinea però come il destino di Donatella sia tutt’altro che chiaro.
Cosa non abbiamo trovato
Infine una notizia che avremmo voluto leggere sui giornali e invece, se non ci è sfuggita, l’abbiamo vista solo nel sito degli Stati Generali e sul blog Le persone e la dignità di Monica Ricci Sargentini sul sito del Corriere: per la terza volta Il Sole 24 ore ha perso il ricorso in appello contro la giornalista Lara Ricci, che aveva fatto causa per essere stata discriminata al rientro dalla maternità, passata da vicecaposervizio a poco più che correttrice di bozze. Il Sole 24 ore ha ottenuto la certificazione della parità di genere, che per esempio consente di partecipare a bandi ministeriali per ottenere fondi.
Questa rassegna è frutto del lavoro di squadra di Barbara Consarino, Gegia Celotti, Paola Rizzi, Luisella Seveso, Maria Luisa Villa, Laura Fasano, Caterina Caparello.