Nessuno si salva da solo e nessuno è potenzialmente “non salvabile”. Maria Grazia Anatra e Sonia Maria Luce Possentini replicano ne “La bambina che aveva parole” una lunga tradizione di libri che, pur immersi per tono e forma nella categoria “favole”, sono monito agli adulti e strumento per parlare trasversalmente alle generazioni di temi delicati e complessi come la violenza intrafamiliare, i maltrattamenti sui minori, gli allontanamenti dal nucleo d’origine, il recupero in casi di abuso.
In un pieno rovesciamento della prospettiva rispetto alla saggistica, la voce narrante lascia che Nina “passeggi” nella sua storia con tutte le sue luci e le sue ombre, la paura dei rapporti e le preziose esperienze con figure capaci di cogliere le esigenze e far fruttare i piccoli momenti di tutti i giorni per tornare a sorridere.
Il disegno accompagna le parole. Tratti e colori che rimandano visivamente all’età della protagonista e, sommessamente, compiono la stessa azione delle parole: pensato per parlare ai bambini insegnando agli adulti. La capacità tutta infantile di serbare i ricordi belli e farne preziosa forza per costruire una identità sana in questo libro incontra persone in grado di accogliere la bambina e non identificarla con il suo passato ma proiettarla verso esperienze che la riportino nella sua dimensione infantile e farle sperimentare la fiducia. In sé stessa e nel mondo degli adulti. Come in un giro sulla «vecchia giostra, dai colori un po’ stinti» che accoglie il lettore nelle prime righe del testo, il tempo di una favola racchiude una vita intera: un passato che prepotente incupisce i pensieri e le emozioni di Nina, il presente che permette alla bambina di recuperare vitalità e serenità grazie a preziosi innesti di fiducia, il futuro che riconosce i doni di quel tempo e ne fa a sua volta dono.
Al centro la scuola, la maestra, il ruolo dei compagni e ancora più delle amicizie. Leit motiv la forza della parola: ninne nanne e filastrocche come memoria storica, poesie per esprimere l’infinito che ogni bambino si porta dentro, la recitazione come epifania di sè stessi. «Nina sapeva che la maestra contava su di lei», scrivono le autrici quasi alla fine del libro, mentre Nina sapeva che aveva in sé le parole che le avrebbero permesso di esprimere il suo talento. La dimensione educativa è il sottotesto di questo libro che guarda alla scuola prima come il luogo per uscire dall’isolamento figlio della violenza poi come strumento di sviluppo della resilienza attraverso il sostegno ai rapporti amicali tra bambini, la sperimentazione della propria creatività, la considerazione del bambino “ferito” come un bambino.
La persona, non l’etichetta dettata dalle esperienze. C’è poco della favola in “La bambina che aveva parole” con il rimando continuo alla responsabilità nei rapporti che instauriamo con gli altri. C’è un mondo di speranza, invece, nel proporre una storia dove l’empatia insegna quando ascoltare, quando parlare, quando semplicemente abbracciare.
“La bambina che aveva parole”
di Maria Grazia Anatra
illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini
Matilda editrice euro 14,00