Ma che titolo è “Amore criminale” per una trasmissione se poi si tratta di una donna che viene uccisa dal partner? Oltre alle perplessità sul titolo, la trasmissione in onda in su Raitre – che non è nuova ma che nel passato era stata condotta da Camila Raznovich che aveva almeno il piglio della conduttrice attenta – è oggi condotta da un’attrice, Luisa Ranieri che, al di là della buona volontà, non ha certo un’impostazione sul tema né tantomeno la capacità di introdurre lo spettatore in un incubo come quello della violenza di genere e del femmicidio.
Ma non perché non sia brava, semplicemente non è il suo mestiere. Sì, perché la trasmissione televisiva di cui si parla ha la presunzione di trattare in maniera informativa della morte delle donne, o meglio del femmicidio. Ogni puntata infatti è il racconto della storia, realmente accaduta, di una donna uccisa dal partner attraverso spezzoni di interviste a supporto di una mega fiction, che dovrebbe informare, in maniera precisa e dettagliata, sui fatti accaduti. Eppure non essendoci nessuna analisi, contestualizzazione e approfondimento, come questi fatti di attualità presupporrebbero, ma solo una ricostruzione veicolata da un video-fotoromanzo con scene ricostruite, alla fine sembra di stare seduti in poltrona davanti a un B-movie casalingo.
L’effetto è quello di un film televisivo breve di cui la fine è nota col “vantaggio” di sapere che si tratta di una storia vera e con il pathos creato dagli intervistati, amici e parenti “veri” della vittima che partecipano alla ricostruzione e montati con brevi spezzoni all’interno del “film”, in un crescendo della storia che si dirige inesorabile verso il climax dell’omicidio. Un’operazione che isola il caso e lo descrive come se la poveretta avesse avuto “la sfiga” di cadere nelle mani di un matto squilibrato, e che non chiarendo i dati, la situazione, il contesto, i numeri, le cause culturali di questo grave e pericoloso fenomeno, riduce tutto a un insano voyeurismo che porta lo spettatore a indugiare su particolari raccapriccianti e la spettatrice a esorcizzare il problema (meno male che a me non capita).
Ricco di descrizioni al limite della maniacalità – come la ricostruzione in fiction dell’omicidio della donna con l’attore che uccide l’attrice – e senza il suppporto di una inchiesta giornalistica che sostenga i fatti contestualizzandoli, “Amore criminale” è davvero criminale. Non si possono trattare fatti di attualità così gravi, soprattutto in un momento in cui questi stessi fatti hanno assunto una gravità eccezionale (più di 40 femmicidi dall’inizio del 2012), come se fossero fotoromanzi: è diseducativo, fuorviante, poco professionale e dannoso.
Per far conoscere quello che succede e risolverlo facendo leva anche sull’opinione pubblica, non basta sbattere l’omicidio sullo schermo, ma serve un’informazione fatta da chi di queste cose ne capisce: argomentazioni, inchieste, indagini molto serie, condotte da professionisti che certo non mancano in giro in Italia (con tutti i giornali che chiudono), perché la violenza di genere non è un’opinione dove chiunque può dire quello che gli pare o fare quello che vuole, ma è un fenomeno che riflette un’intera società e che quindi va affrontato in maniera scientifica anche quando se ne parla. Ma allora perché non dare un serio format d’inchiesta anche su argomenti che riguardano i femmicidi in Italia?