C’era una volta al NewsWeek…
La scorsa settimana su slate.com è apparso un articolo che ripercorreva l’esperienza di Lynn Povich, entrata nel 1965 al NewsWeek come segretaria e diventata dieci anni dopo redattore capo, dopo una lunga vertenza assieme con altre 46 colleghe. La vicenda è stata raccontata nel suo recente libro “The Good Girls Revolt: How the Women of NewsWeek Sued Their Bosses and Changed the Workplace”.
La vertenza, nata lentamente durante le chiacchiere nell’antibagno dell’ufficio, coinvolgeva tutte le donne del NewsWeek, le quali, pur istruite e formate quali giornaliste, venivano invece impiegate come segretarie o assistenti amministrative.
L’articolo su slate.com che ripercorre la vicenda sottolinea, tra l’altro, che dal 1970 ad oggi, molto è cambiato nel contesto dell’editoria giornalistica negli USA, ma non è abbastanza. Trent’anni dopo, tre giovani giornaliste al NewsWeek hanno rilevato che le donne al giornale rappresentato solo il 39% del totale nelle redazioni. Più in generale, ci sono voluti dodici anni per guadagnare quattro miseri punti percentuali nella rappresentanza di genere delle redazioni. Per ogni sette articoli a firma di giornalisti maschi, ce n’è solo uno firmato da una donna. I premi riservati ai giornalisti sono assegnati per lo più a uomini. Solo il 25% di tutti gli articoli pubblicati sui media americani è firmato da donne. Nel settore della radiofonia, per esempio, la percentuale di donne è ancora minore: solo il ventidue per cento. Neanche nell’editoria digitale le cose vanno meglio. Eppure, il 73% dei diplomati/laureati nei corsi accademici per giornalisti è donna. Emblematica è anche la foto che accompagna l’articolo su Slate: una recente copertina del NewsWeek che raffigura procaci labbra femminili nell’atto di assaporare due asparagi (per la cronaca, la copertina del settimanale era dedicata ad un reportage sui migliori 101 ristoranti del mondo).
Anne Eisenberg, la giornalista che ha recensito sul NYT il libro-report di Lynn Povich, ha commentato che a metà degli Anni ‘60 la lotta di Povich si focalizzava contro forme di sessismo puro e semplice (solo nel 1971 vennero ammesse le prime donne al National Press Club), mentre oggigiorno il contesto della discriminazione è più complesso ed articolato, essendo permeato da un sessismo più subdolo e silenzioso. Certo, oggi nessun datore di lavoro si può permettere di pizzicottare impunemente il fondoschiena di una collaboratrice o impedirle apertamente di accedere a livelli superiori di carriera (il fenomeno non è stato eliminato, però, assumendo quasi sempre la fattispecie di ricatto) perché è reato, eppure tra il sessismo più becero tipo Anni ’60 (Mad Men, per intenderci) e la piena parità c’è un campionario di tattiche marginalizzanti per le donne: dagli ostacoli alle madri-lavoratrici alla fatica immane delle donne per contrastare il muro compatto della solidarietà maschile, cementato dal cosiddetto ‘tempo di corridoio’ (quell’attività non formale che rende gli uomini solidali e lobbysti, attuata per lo più allungando e condividendo il tempo di presenza negli uffici, al bar, negli stadi).
Esiste tutta una metodologia per irretire qualunque donna nell’esprimere idee e/o lanciare programmi e progetti, anche in contesti mediatici con ampia audience. Per esempio, martedì scorso a Ballarò, quando l’economista Irene Tinagli ha provato a spiegare il suo impegno con il movimento Italia Futura, tutti gli ospiti maschi della trasmissione hanno cominciato ad irriderla, a parlarle addosso, a scambiarsi sorrisini di sufficienza e frasi ironiche, a prescindere dalla condivisibilità della sua scelta. Mi è sembrato – ma vorrei essere confortata in questa mia impressione – che la pur preparata e altrimenti tenace Tinagli, vacillasse e perdesse di convinzione mentre esponeva le sue idee. Uno spettacolo che, purtroppo, è molto comune nei consessi in cui la presenza maschile è marcata.
Gli uomini, anche se altrimenti contrapposti su idee e programmi, fanno immediatamente cordata quando si tratta di contrastare una donna, a prescindere dalla validità o dalla condivisione delle idee che sta esprimendo: è uno sport diffuso a tutte le latitudini, anche nel mondo Occidentale. Le vessazioni di matrice discriminatoria e/o sessuale sono reati, ma questi atteggiamenti di solidarietà maschile, sono incisi nella nostra Cultura. Potrei non condividere le scelte politiche ed economiche della Tinagli, ma mi sono imbestialita a vedere come veniva trattata con sufficienza dagli altri ospiti della trasmissione. Ovviamente, ho spento il televisore ed ho scritto questo articolo.