Ve la ricordate Demi Moore in Soldato Jane?
È il film in cui lei si rapava a zero, testimoniando – con il sacrificio di uno dei simboli della femminilità, i capelli – la determinazione di non voler usufruire del cosiddetto ‘doppio standard’, ovverosia la corsia parallela destinata alle donne soldato, che comprende carichi meno onerosi, trattamenti sanitari diversi (ah, quelle mestruazioni così invalidanti e così sperequanti!) ed anche diversa considerazione da parte degli ufficiali delle attività in seno alle missioni militari.
Nel film, la G.I. (l’acronimo dei soldati USA) Jane dimostra di essere proprio uguale ad ogni altro soldato della sua compagnia, anche nelle missioni, anche nelle più grandi difficoltà.
Ma quello è un film.
Non è un film, ma promette risvolti ancor più interessanti, la storia dell’infedeltà del Generale Petraeus. Mentre il Newsweek dedicava un articolo, a firma della sua biografa (ed amante, come si è scoperto) Paula Broadwell, sulle sue qualità di grande leader (ridicolamente smentite da lì a pochi giorni), il TIME (nel numero del 26 novembre) dedica alla vicenda ben due punti di vista.
Erika Christakis, per esempio, si arrabbia e non poco rispetto al fatto che in questa storia il Generale Petraeus viene trattato qual Zeus che dall’alto della sua onnipotenza può permettersi ogni rapporto ancillare, il che conferma nell’opinione pubblica, tutti i pregiudizi sulle donne tentatrici, perfide e opportuniste. “Niente di nuovo sotto il sole, per ciò che riguarda la vita sessuale degli uomini potenti”, premette la Christakis. Ci si mette pure quel sant’uomo di Barack a dare una mano al pregiudizio imperante. Infatti Mr President ha commentato: “I miei pensieri e le mie preghiere [sic] sono per David e Holly Petraeus.” [Sarebbero il Generale e la di lui consorte. NdA].
Già. Povero Generale, vittima di una femme fatale. Un uomo così ferreo, dalla leadership così muscolare, che diviene vittima passiva di una donna, cui lui stesso aveva conferito ogni accesso alla sua vita privata, per servizio.
Quindi, c’è un doppio standard: i peccati di un uomo sono minori di quelli di una donna. Specialmente se l’uomo in questione è stato il comandante delle forze armate e direttore della CIA.
L’altro op-ed è del mio idolo, Joel Stein. Nello stesso numero del TIME, Stein spiega come si fa a non cadere in tentazione e spera in un prossimo manuale della CIA ad uso dei capi e dei comandanti.. La sua teoria di premessa è che gli uomini sono molto deboli e l’unica maniera per salvarsi è schivare ogni occasione di tentazione: “Se si è a dieta, non bisogna far entrare la cioccolata in casa.” (Per la cronaca, la moglie di Joel si convinse che ‘dieta’ fosse riferito a lei e furono brutti quarti d’ora in famiglia.) Stein, per esempio, si fa massaggiare solo dalle poltrone elettriche, non da mani femminili; sul GPS ha messo una voce maschile, per evitare fantasie alla guida, non come Aldo [di Aldo Giovanni e Giacomo] che in un film s’innamorò della voce del suo tomtom. Insomma, una specie di talibanesimo in chiave occidentale.
Ma l’articolo di Joel (siamo pure ‘amici’ su FB) non è così banale come sembra. Secondo gli esperti (negli USA gli esperti sono Cassazione), è semplicemente successo che il Generale Petraeus non sia stato abituato a gestire i rapporti affettivi, avendo a che fare solo con soldatacci, scenari di guerra impervi e difficili, zero sentimenti, poca umanità.
Per un pezzo grosso come lui – a differenza della tesi della Christakis che parla di sudditanza femminile al potente di turno e di stereotipi maschilisti – e secondo Charles Duhigg – uno psicologo intervistato a tal proposito da Stein – i rapporti affettivi di tali personaggi sono ricompresi nella sfera del ‘sesso’ e gestiti come da secoli i maschi super-alfa (mio neologismo, per indicare gente ancor più ‘comandosa’) gestiscono queste cose, con parecchia auto-indulgenza ed auto-giustificazione.
Più sono potenti e imperiosi, più sono soggetti alle conseguenze nefaste del desiderio. La questione, conclude Stein facendo parlare un professore della Carnegie Mellon, George Loewenstein, è che l’umanità o è troppo auto-indulgente perdonandosi ogni cosa in deroga alle regole (legge, morale, etica, deontologia), o è troppo bacchettona e non perdona niente agli altri. Non siamo preparati a capire cosa vogliamo e perché, né a comprendere – almeno per sommi capi – le conseguenze delle nostre scelte. Diventiamo vittime di una potente forza, la forza del desiderio, che pare esterna a noi e che ci sospinge nei guai. Esattamente come successe ad un impassibile Toni Servillo in “Le conseguenze dell’amore”.
Ce n’è più d’una morale in questa vicenda. La prima è che i film insegnano parecchio. La seconda è che il maschilismo alligna pure lì, negli States, aggravato dal fatto che non si vuole accettare che il destino degli eserciti statunitensi e della sicurezza nazionale sia stato in balìa di debolezze umane, molto umane.
La terza morale è quella solita: la colpa è sempre delle donne, il vero ed eterno Male, non dei generali.