Alla ricerca delle radici, tra gli etruschi e i galli

Il primo romanzo di Giovanna Grignaffini (dopo migliaia di pagine dedicate al cinema) è un affondo nelle origini "di nebbia e contentezza". Di [Marina Cosi]

Alla ricerca delle radici, tra gli etruschi e i galli
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5 Dicembre 2012 - 12.26


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Giovedì 13 dicembre, notte di luna nera, alla Cascina Cuccagna, che non serve spiegare cosa sia a chi è di Milano, una città che ti rende milanese anche soltanto dopo due anni, Milano non va tanto per il sottile e accoglie un po” benevola e un po” distratta, dunque la notte di metà dicembre si festeggia Giovanna Grignaffini e il suo primo romanzo. Che non è il suo primo libro, ma il suo primo romanzo sì: “Però un paese ci vuole”. Citazione rivisitata da Cesare Pavese. Con un sottotitolo, “di nebbie e contentezza”, che è soprattutto una didascalia dell”autrice. Anzi no, della sua gente. Che in fondo è lo stesso. Gente con un concreto gusto di vivere che anche quando si fa alto pensiero non stacca mai i piedi da terra. Merito degli antenati, più i Parmnial che i Boi, cioè le tribù etrusche più che quelle galliche, e dell”orografia.

Giovanna nel suo romanzo si chiama Francesca e torna dopo anni a Fontanellato e alla sua giovinezza, agli anni Sessanta, alle parole delle canzoni, alla centralità sociale della piazza, e nasconde un segreto. Grignaffini, che è giustappunto di Fontanellato, ha insegnato a lungo al DAMS di Bologna storia e teoria del cinema e sul cinema ci ha scritto sopra mille pagine di libri – prima e dopo la sua avventura di parlamentare – , per cui non è strano leggerla e trovarsi di fronte non a capitoli ma a sequenze, a primi piani, campi lunghi, dialoghi che bucano.

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Un”atmosfera che le sue amiche di Bologna hanno cercato di ricreare, riuscendoci benissimo, con un sito che prende il nome dal libro ed è fatto di citazioni, album fotografici, video, brani dei Beatles e di Luigi Tenco, e un estratto del romanzo: www.perounpaesecivuole.it

Insomma il catalogo è questo. Ma per capirne qualcosa occorre assaggiarlo. Propongo tre brani estrapolati dal primo capitolo, brevi ma sufficienti a dare un”idea della sua scrittura.

1 – (… La vecchia tabaccheria sotto il portico…): Lì, soprattutto, avevo saputo della morte di Kennedy e avevo pianto. Avevo poi anche saputo che tutti quelli della mia generazione ricordavano esattamente dove si trovavano quando era piombata su di loro quella notizia. Tutti quelli. Ma quanti? E, soprattutto, “la mia generazione?”.

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2 – (… L”alluvione di Firenze… ): Dicono che sia nata lì, tra quel fango, la nostra generazione, innamorata delle belle frasi. Dicono che sia stata fortificata lì, tra quel fango, la nostra passione per i libri e per l’imparare a memoria come forma estrema di protezione: perché i libri non vadano a male.

3 – (… Infine lui, Carlo…): Perché a Carlo non bisognava proprio toccargli la pigrizia, la massima tra le umane virtù. Anzi, più propriamente quel che distingue l’uomo dagli animali, le donne, ovviamente, non hanno ancora imparato a conoscerla. La sua pigrizia non era semplicemente un’idea della vita e del mondo, ma, più radicalmente, uno stato assoluto della carne, inamovibile e imperturbabile, che solo due grandi passioni potevano scuotere: l’alcol e il calcio.

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