La cura dell’infertilità e le tecniche di fecondazione assistita in Italia, hanno avuto un incidente di percorso: la legge 40. Partorita, si fa per dire, con oltre dieci anni di dibattito parlamentare da una chiara fobia: quella di perdere il controllo sul corpo delle donne e di riconoscergli un potere eccessivo, il concepimento senza l’atto sessuale e l’atto fecondante del maschio. Da questa paura atavica, psicologica e culturale, incapace di comprendere la tecnica come uno strumento utile da governare, nacque di fatto un dibattito parlamentare, fin dalla fine degli anni ‘90 incapace di controllo, perfino verbale, che colpì deputate di destra e di sinistra, in particolare quando si avventuravano a parlare di fecondazione con donazione.
La politica del partito leghista e la cultura di una destra molto conservatrice e di una sinistra che ammiccava alla cultura cattolica senza discuterla laicamente, ma cercando facili scappatoie nella libertà di coscienza del parlamentare (non dell’elettore!), fecero il resto. E fu così che venne approvato il primo articolo della legge 40, quello che annuncia finalità che non mantiene: ovvero la cura dell’infertilità con una tutela estesa perfino al concepito, neanche all’embrione, inserendo così con questo termine poco chiaro sul piano giuridico un conflitto permanente nella legge, quello tra il corpo della donna e il progetto di vita nascente.
Eppure la nostra Costituzione e soprattutto l’ampia giurisprudenza dagli anni ’70 ad oggi avevano chiaro il cardine principe del nostro ordinamento giuridico: le tutele vanno bilanciate e prevale l’interesse alla salute psicofisica di chi è già nato contro chi nato non è ancora. Non si tratta di essere buoni o cattivi, ma in gergo giuridico si chiama “ragionevolezza” ed il mainstreaming della nostra democrazia.
Tutta la legge 40 è stata sgretolata dalle venti pronunce dei tribunali perchè ha oggettivamente violato la “ragionevolezza” ed in più articoli. Gli ultimi due, sollevati qualche giorno fa dal tribunale di Firenze, grazie al ricorso iniziato fin dal 2008 da una coppia milanese che aveva chiesto aiuto all’associazione Madre Provetta e al suo consulente legale, l’avvocato Gianni Baldini, hanno definitivamente messo il dito nella piaga.
Non è costituzionale imporre ad una donna, nel corso di un atto medico di rinunciare a confermare il consenso in ogni fase del lungo iter. La legge 40 impone di non poter revocare il consenso dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo, qualunque cosa accada prima del transfer. Il giudice fiorentino, ha detto no. Non possiamo fare del trasferimento dell’embrione un trattamento sanitario obbligatorio, ma questo dettaglio era sfuggito al legislatore.
Inoltre, il magistrato accoglie l’istanza della coppia di essere lasciata libera di decidere del futuro degli embrioni risultati affetti dal gene malato o inidonei biologicamente ad essere trasferiti.
La libertà di ricerca scientifica, infatti, diventa nell’interpretazione della legge un valore costituzionale, che va, ancora una volta bilanciato con un elemento di realtà: la vita nascente che vogliamo tutelare comprimento la libertà scientifica, non ha alcuna possibilità di realizzarsi. O perchè il materiale biologico è inadatto a svilupparsi (come accade spesso anche negli aborti spontanei) o, semplicemente, perchè la donna non acconsente al trasferimento e nessuno può obbligarla con la forza.
Così, mentre il governo Monti non ha accettato la condanna dall’Europa a causa della legge 40 ed ha reagito, contro il parere di un’ ampia opposizione politica di centro-sinistra, per riaprire l’iter alla Grande Chambre, i tribunali italiani non possono che rivolgersi alla Corte Costituzionale perchè la Carta non sia più violata.
In questo scenario, la politica è inerte e la società civile ed in particolare le donne presidenti delle associazioni di tutela delle coppie infertili fin dal 2005 e l’associazione Luca Coscioni, poi, hanno dimostrato di sapersi organizzare da sole, portando avanti per otto anni questa battaglia di giustizia, nel nome della Costituzione e della civiltà.
Ora chiediamo che la abrogazione della legge 40 entri nell’agenda politica fin dalla campagna elettorale.
Per approfondimenti:
– “La storia e le ragioni di un divieto” di M. Soldano in “La legge 40 ancora a giudizio”, a cura di D’ Amico; Liberali, ed. Franco Angeli 2012.
– “La storia politica e giudiziaria del caso Italia. Quale rotta verso l’Europa?” di M. Soldano in “Nascere e morire:quando decido io?” Ed. FUP, 2011. Con la prefazione di Stefano Rodotà.