C’era una volta un velivolo con un centrocampista a bordo. Ai primi del Novecento qualunque maestro o maestra (professione declinata al femminile senza alcuna resistenza) avrebbe segnato con la penna rossa due delle parole scritte sopra, velivolo e centrocampista: non esistevano nel vocabolario. Le avrebbero inventate successivamente Gabriele D’Annunzio, che mutuò dal latino la parola velivolus (spinto a vela), e Gianni Brera, che così battezzò chi gioca in mezzo al campo.
Questo preambolo per introdurre alcune riflessioni sull’intervento dell’ex sindaco facente funzione di Genova Pietro Piciocchi, il quale ha annunciato in un post su Facebook (ne parliamo qui) di essere pronto a chiamare “sindaca” Silvia Salis, come da lei richiesto, ma accusa di furore ideologico e smania di violentare la lingua italiana la sinistra che, nella passata consiliatura comunale, chiedeva di chiamare le donne in giunta assessore e non assessori, anche contro la volontà delle stesse. Senza scomodare i testi sacri della linguistica di genere, per i quali il linguaggio che descrive la società è costruito intorno all’uomo, e così pure quello giuridico e istituzionale cui fa riferimento Piciocchi, la riflessione si può rendere molto più semplice: cambia la realtà, e cambiano le parole per raccontarla.
Sessant’anni fa non c’erano assessore, mediche, avvocate o ingegnere; o erano pochissime. Oggi ce ne sono tante, ammettiamo che siano accettate dalla società, e allora perché non accettarle anche nella lingua? Non è una sottigliezza, è sostanza. Non è furore ideologico, è grammatica. La smania, semmai, è quella di chi vuole resistere al cambiamento che attraversa la società e naturalmente modifica anche la lingua che la descrive. Sessant’anni fa non ci sarebbe stata una sindaca e, tra parentesi, nemmeno avrebbe avuto il problema di dover rispettare le quote azzurre in giunta come sta accadendo in questi giorni a Silvia Salis. Infine, una notizia. Anche noi donne siamo stufe di parlare di vocali, le vorremmo ormai consolidate in quanto previste dalla nostra bella e ampia lingua italiana, per concentrarci su tutto il resto che ci manca per arrivare alla parità.